Sussidiario minimo

Come da celebre profezia, qualche spicciolo di notorietà – anche presso un pubblico non necessariamente vasto, e anche non intenzionalmente cercata – non si nega più a nessuno. Lo sa bene il maestro elementare che, insieme a quelli che egli definisce "i petali vizzi della mia margherita”, è il protagonista di una vicenda di sapore paradossale culminata nella prima metà degli anni '60, secolo n° 20.

In quei giorni sì di tormenti, ma di almeno pari fermenti (non si dimentichi – essendo in argomento – la ben meritata auge del maestro Manzi), l'insegnante di un oscuro paesino di provincia offre il suo avveniristico, forse sovversivo contributo a tanta temperie entro le possibilità individuate nell'àmbito in cui opera. Ossia rivisitando, sulla base di elastici canoni, il "primario strumento di acculturazione” in consolidato uso alla scuola di primo grado italiana, il sussidiario.

Il progetto (ché il tutto fu naturalmente premeditato), affrontato con alta dedizione e cristallina onestà di intenti da colui che all'epoca le parti coinvolte non stentarono a qualificare variamente ("singolare”, "curioso”, "eccentrico”, fino a "strambo” e molto di cassabile), si sarebbe concretizzato in un ufficioso seppur inattaccabile metodo didattico, il quale, viceversa, ebbe una denominazione ufficiale, "Sussidiario minimo”. Ma parallelo a questo binario corre un secondo: quanto consegue all'attuazione del disegno studiato dal maestro si trasforma in qualcosa di simile a un giallo (almeno agli occhi di quanti hanno rapporti più o meno diretti con l'ideatore del monstrum didattico), per trasferirsi in seguito e più drammaticamente sul piano del contenzioso giuridico, causa l'assonanza di quel "Sussidiario minimo”. Con che cosa, risulterà più dettagliato nella premessa/introduzione a questo volumetto.



A mezzo secolo di distanza da una peripezia poco nota ma sofferta dai suoi attori, il prodotto di quell'ingegno controverso viene presentato in un'antologia che raccoglie, sotto forma di tableaux narrativi, buona parte di quelle rivisitazioni contaminate, escursioni-incursioni nell'inaudito: oggi – se proprio ci venisse fatta pressione – non potremmo rifiutarci di ascriverli al dominio della flash-fiction, petali (insistiamo) di finzioni-lampo appartenenti a una margherita (perseveriamo) rinvenuta fra le pagine di un ponderoso volume. Contenitore di una poderosa finzione?



Come il sussidiario della tradizione, anche il nostro, pur minimo, è ornato da tante illustrazioni colorate.



BONUS SINOSSI vera e propria (ma ne esistono anche di "false e improprie"?).



Se auspicabilmente avete letto parte della prefazione al libro nella preview, vi potreste fare alcune domande; anzi, ce e ve le facciamo noi. Che relazione c'è fra:

- Hanozri e i Beatles (specie John Lennon) (quella con Ponzio Pilato è nota);

- Plinio il vecchio, Plinio il Giovane e Plinio l'Adolescente;

- il teologo Anselmo d'Aosta e il teologo Woody Allen;

- Erodoto di Alicarnasso e l'ispettore Rock (ma anche fra un granchio e un gambero);

- Pinocchio e lo scoppio della Prima guerra mondiale;

- Hernán Cortés e Gino Bartali;

- Fidel Castro e il dado di Rubik (Ernesto Che Guevara ci sta; un po' meno l'altro Ernest, Hemingway, supremo ispiratore della flash fiction, benché, poverino, con quel benedetto paio di scarpe da bambino che non gli riesce di sbolognare...);

- James Cook e Walt Disney;

- la regina Elisabetta (II) e il figlio Carlo (?);

- l'imperatore (e re) Francesco Giuseppe e la Seconda guerra mondiale;

- John Fitzgerald Kennedy e John Fitzgerald Kennedy (avete letto bene);

- Alessandro Manzoni (o meglio l'incipit dei "Promessi sposi") e quanti dicono "quello che è", "piuttosto che", "nel senso che", "se la matematica non è un'opinione", "come lei mi insegna", "come dire... in qualche modo... detto questo", "ma voltiamo pagina" ecc.?

E potremmo continuare non si dice all'infinito ma almeno fino alla fine del libro, se non temessimo di rovinarvi il piacere della lettu

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