TRIANGLE 25.3.1911: dramma teatrale
- Autore
- PAOLO ASCAGNI
- Pubblicazione
- 18/01/2020
- Categorie
Il 25 marzo 1911 era un giorno come tanti, a Manhattan, nel cuore di New York: un luogo che a noi, oggi, prima di tutto e quasi in automatico, ci fa venire in mente Wall Street, la Borsa Valori più famosa del mondo. In realtà, anche allora le strade di Manhattan accoglievano ricchezza e povertà, quartieri di lusso e case popolari, americani nati lì e migranti affluiti da ogni dove…
Quel 25 marzo, dunque, era un giorno come tanti anche nell’Asch Building, il grande palazzo che dall’ottavo al decimo piano era occupato dalla Triangle, una fabbrica tessile con oltre cinquecento dipendenti, in larghissima parte donne. La parola ‘dipendenti’, per la verità, è poco appropriata. In realtà erano degli schiavi, sfruttati in modo ignobile: turni di lavoro massacranti (14-15 ore al giorno!), una paga da fame, nessun diritto né tutele né misure di sicurezza, con una asfissiante vigilanza affidata a caporali spesso violenti… uomini contro donne.
Ma quel 25 marzo non sarebbe cambiato nulla, di tutto questo: non era possibile ribellarsi, si poteva solo subire e aspettare il fine settimana, per poter avere quei miserabili ma sospirati 6-7 dollari di salario. Ma purtroppo, quel giorno, qualcosa invece successe, e fu una tragedia; a metà pomeriggio si scatenò un furibondo incendio, che uccise 146 persone, di cui 129 donne. Ed il motivo fu che i due padroni, come ogni giorno, tenevano chiuse le porte dall’esterno, per controllare le pause e per impedire ogni accesso, soprattutto agli attivisti sindacali.
Quel giorno i due padroni pensarono solo a salvare sé stessi, e coscientemente non si preoccuparono di aprire le porte, condannando coscientemente a morte certa 146 persone. Ovviamente non pagarono per il loro orrendo crimine; furono assolti, incassarono dall’assicurazione una bella cifra e ricominciarono con una nuova fabbrica: stessi metodi, stesse porte chiuse, stessa impunità.
Questa tragica vicenda è stata anche trasfigurata e trasformata in una leggenda, la leggenda della fabbrica Cotton e del presunto incendio dell’8 marzo 1908. Fu anche un modo - da parte di qualcuno non proprio in buona fede - per occultare la vera origine della Giornata della Donna, che invece ebbe come suo riferimento storico la data dell’8 marzo 1917: il giorno della grande manifestazione delle donne russe a San Pietroburgo, che contribuì in modo decisivo alla caduta dello Zar.
La storia (purtroppo) vera della Triangle è un tipico esempio del peggio dell’essere umano: l’ennesima conferma della dinamica perversa del denaro, di un capitalismo selvaggio che genera il più assoluto disprezzo delle persone ed il loro feroce sfruttamento, anche a costo della loro vita. Ma in questo caso abbiamo un ulteriore elemento di sconcerto. Qui non c’è solo il disprezzo del padrone per lo schiavo, del ricco per il povero, del ‘nativo’ per il migrante: in questa storia abbiamo anche l’aggravante di uomini che disprezzano le donne, nel solco di quel pregiudizio maschilista che è una delle tante becere varianti della malvagità umana.
Da questa tristissima vicenda è nato lo spunto per costruire questo dramma video-teatrale, che si muove sulle coordinate del teatro sociale e di denuncia, ma non in modo tradizionale; alla descrizione dei fatti si è sovrapposta un’evocazione di immagini e gesti, dove le emozioni amplificano le parole e la rabbia… perchè nell’epoca della retorica e della disumanità ormai elevata a sistema, l’ultimo baluardo rimasto è la capacità di provare ancora quel sussulto di dignità che si chiama indignazione.
Quel 25 marzo, dunque, era un giorno come tanti anche nell’Asch Building, il grande palazzo che dall’ottavo al decimo piano era occupato dalla Triangle, una fabbrica tessile con oltre cinquecento dipendenti, in larghissima parte donne. La parola ‘dipendenti’, per la verità, è poco appropriata. In realtà erano degli schiavi, sfruttati in modo ignobile: turni di lavoro massacranti (14-15 ore al giorno!), una paga da fame, nessun diritto né tutele né misure di sicurezza, con una asfissiante vigilanza affidata a caporali spesso violenti… uomini contro donne.
Ma quel 25 marzo non sarebbe cambiato nulla, di tutto questo: non era possibile ribellarsi, si poteva solo subire e aspettare il fine settimana, per poter avere quei miserabili ma sospirati 6-7 dollari di salario. Ma purtroppo, quel giorno, qualcosa invece successe, e fu una tragedia; a metà pomeriggio si scatenò un furibondo incendio, che uccise 146 persone, di cui 129 donne. Ed il motivo fu che i due padroni, come ogni giorno, tenevano chiuse le porte dall’esterno, per controllare le pause e per impedire ogni accesso, soprattutto agli attivisti sindacali.
Quel giorno i due padroni pensarono solo a salvare sé stessi, e coscientemente non si preoccuparono di aprire le porte, condannando coscientemente a morte certa 146 persone. Ovviamente non pagarono per il loro orrendo crimine; furono assolti, incassarono dall’assicurazione una bella cifra e ricominciarono con una nuova fabbrica: stessi metodi, stesse porte chiuse, stessa impunità.
Questa tragica vicenda è stata anche trasfigurata e trasformata in una leggenda, la leggenda della fabbrica Cotton e del presunto incendio dell’8 marzo 1908. Fu anche un modo - da parte di qualcuno non proprio in buona fede - per occultare la vera origine della Giornata della Donna, che invece ebbe come suo riferimento storico la data dell’8 marzo 1917: il giorno della grande manifestazione delle donne russe a San Pietroburgo, che contribuì in modo decisivo alla caduta dello Zar.
La storia (purtroppo) vera della Triangle è un tipico esempio del peggio dell’essere umano: l’ennesima conferma della dinamica perversa del denaro, di un capitalismo selvaggio che genera il più assoluto disprezzo delle persone ed il loro feroce sfruttamento, anche a costo della loro vita. Ma in questo caso abbiamo un ulteriore elemento di sconcerto. Qui non c’è solo il disprezzo del padrone per lo schiavo, del ricco per il povero, del ‘nativo’ per il migrante: in questa storia abbiamo anche l’aggravante di uomini che disprezzano le donne, nel solco di quel pregiudizio maschilista che è una delle tante becere varianti della malvagità umana.
Da questa tristissima vicenda è nato lo spunto per costruire questo dramma video-teatrale, che si muove sulle coordinate del teatro sociale e di denuncia, ma non in modo tradizionale; alla descrizione dei fatti si è sovrapposta un’evocazione di immagini e gesti, dove le emozioni amplificano le parole e la rabbia… perchè nell’epoca della retorica e della disumanità ormai elevata a sistema, l’ultimo baluardo rimasto è la capacità di provare ancora quel sussulto di dignità che si chiama indignazione.
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