Il demone albino

Quella sera la pioggia scrosciava violenta sul tetto della villa.
Una donna piangeva, nella sua stanza.
Il suo piccolo neonato era morto dopo pochi attimi di vita.
Le tende tirate, le luci spente.
Le punte delle ciocche castane dei suoi capelli erano bagnate, sulle lenzuola si allargava una macchia di umido, mentre le sue braccia cullavano quel piccolo fagotto.
Gli scostò la stoffa viola dal viso: tratti delicati e rotondi, sulla pelle diafana era dipinta una dolce espressione di quiete.
<< Nathan... Nathan... Nathan... >> ripeteva la donna.
Quando un lampo talmente potente da passare oltre le tende e illuminare l’intera stanza si abbatté poco distante dall’abitazione, una figura comparve ai piedi del letto.
<< Ho sentito la tua richiesta, donna. Un dolce canto lamentoso si propagava in tutto il mio regno. Sei veramente disposta a tanto? >> Una voce profonda, che sembrava venire da ogni dove.
<< Sì. >> un sussurro debolissimo, ad occhi bassi.
<< Ebbene sia – continuò la figura – ma fate in modo di godervi questi suoi sette anni di esistenza, perché al loro scadere verrò a riscattare la mia... gentilezza. >> una mano nera, fatta di fumo, si posò sugli occhi chiusi del neonato.
La sua voce si affievolì fino a quando non scomparve insieme alla figura.
 
Appena il silenziò calò nella stanza, le palpebre del bambino si dischiusero rivelando due iridi nere e liquide che si solidificarono immediatamente donandogli le fattezze di voragini senza fondo.

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