Sotto la linea di tiro: Quando le istituzioni prendono di mira il cittadino
- Autore
- Rosa Morrone
- Pubblicazione
- 06/07/2017
- Categorie
Antonio Morrone lavora al Centro stampa della Corte costituzionale, tra solventi chimici e sostanze nocive, per 13 anni. L'odore dei prodotti che è costretto a usare per le macchine fotoriproduttrici è tale che i dipendenti della Corte negli uffici vicini si premurano di tenere sempre la porta chiusa. Nel Centro stampa non c'è impianto di aerazione, solo una finestrella che rimane sempre aperta, anche in inverno, per poter respirare un po': l'unico provvedimento che viene adottato dall'amministrazione della Corte è acquistare per gli operai addetti alla fotoriproduzione mezzo litro di latte al giorno, come disintossicante artigianale.
Nel 1989 Antonio Morrone muore per un tumore al colon, lasciando la moglie e quattro figli, ai quali la Corte non riconoscerà mai la causa di servizio.
Questo libro è un viaggio tra le ingiustizie subite da una famiglia che chiede solo di vedere riconosciuti i propri diritti e che diventa invece il bersaglio di ritorsioni e cattiverie. Anche il figlio di Antonio, Walter Morrone, lavora infatti alla Corte costituzionale, e per le sue legittime richieste diventa ben presto vittima di mobbing.
Complice poco nota ma fondamentale di queste ingiustizie è l'autodichia, cioè la potestà della Corte costituzionale (e delle Camere) di giudicare, sostituendosi così agli organi della giustizia amministrativa, sulle controversie relative al rapporto di impiego del suo stesso personale dipendente. Se l'impiegato di un'azienda può quindi rivolgersi al tribunale in caso di controversie con i datori di lavoro, i dipendenti della Corte costituzionale possono rivolgersi solo a quest'ultima, che deve quindi giudicare sul suo stesso operato. In una situazione così distorta, l’amministrazione della Corte può fare il bello e il cattivo tempo senza che nessun altro organo dello Stato possa intervenire: ecco come la famiglia Morrone è finita sulla linea di tiro. In queste pagine troverete la storia della sua lotta per ottenere giustizia.
Introduzione di Riccardo Colao
Prefazione di Nicola Pazienza.
Postfazione di Irene Testa.
Nel 1989 Antonio Morrone muore per un tumore al colon, lasciando la moglie e quattro figli, ai quali la Corte non riconoscerà mai la causa di servizio.
Questo libro è un viaggio tra le ingiustizie subite da una famiglia che chiede solo di vedere riconosciuti i propri diritti e che diventa invece il bersaglio di ritorsioni e cattiverie. Anche il figlio di Antonio, Walter Morrone, lavora infatti alla Corte costituzionale, e per le sue legittime richieste diventa ben presto vittima di mobbing.
Complice poco nota ma fondamentale di queste ingiustizie è l'autodichia, cioè la potestà della Corte costituzionale (e delle Camere) di giudicare, sostituendosi così agli organi della giustizia amministrativa, sulle controversie relative al rapporto di impiego del suo stesso personale dipendente. Se l'impiegato di un'azienda può quindi rivolgersi al tribunale in caso di controversie con i datori di lavoro, i dipendenti della Corte costituzionale possono rivolgersi solo a quest'ultima, che deve quindi giudicare sul suo stesso operato. In una situazione così distorta, l’amministrazione della Corte può fare il bello e il cattivo tempo senza che nessun altro organo dello Stato possa intervenire: ecco come la famiglia Morrone è finita sulla linea di tiro. In queste pagine troverete la storia della sua lotta per ottenere giustizia.
Introduzione di Riccardo Colao
Prefazione di Nicola Pazienza.
Postfazione di Irene Testa.
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