Druk (Storico Vol. 2)

Fantastica e tragica avventura di un gruppo di gladiatori



Non posso indicare l'anno e nemmeno il mese. Era un giorno di primavera, il sole cominciava a scaldare sempre più l'aria del piccolo villaggio, dove un gruppo di famiglie, all'ombra di alcuni alberi, aveva costruito delle capanne. Ed era in una di quelle che viveva Giulio insieme alla moglie e quattro figlie. Marta era ancora in dolce attesa, sperava di riuscire finalmente a dare un erede maschio al marito; dopo quattro femmine ne era certa, quello che portava in grembo doveva essere un maschio. Un mattino Giulio salutò la moglie e le figlie per allontanarsi alla ricerca di cibo, divenuto in quel periodo assai scarso.

Mentre Giulio era lontano, nella speranza di riuscire a cacciare qualche animale per il sostentamento della oramai numerosa famiglia, Marta, aiutata da alcune donne del villaggio, diede alla luce un piccolo batuffolo quasi pelato: finalmente l'erede maschio tanto desiderato, che fu subito coccolato dalle sorelle. Un maschio dopo quattro femmine era un evento assai raro in quel periodo.

Quel maschietto pelato ero io.

Mio padre, quando due giorni dopo fece ritorno al villaggio portando con sé un piccolo maiale selvatico, nell'apprendere la lieta notizia guardò prima me, poi mia madre e le indicò con enfasi il nome che aveva scelto. Un nome che, era certo, avrebbe portato avanti nel tempo la sua dinastia, anche se di origini assai modeste.

Massimo fu il nome a me assegnato, nella speranza che un giorno sarei diventato famoso in tutta la valle. Ancora non sapevo che avrei vissuto una delle più fantastiche e allucinanti avventure lontano dal pianeta Terra.

Dal giorno del lieto evento erano trascorsi quasi dieci anni.

Io crescevo sano e forte coccolato dalle sorelle. Per mio padre, poi, anche se ero ancora un ragazzino, era un vero piacere portarmi con lui durante le sue innumerevoli spedizioni di caccia. Anche se giovane ero diventato un esperto nel dare la caccia ai conigli selvatici.

Fu durante una di quelle giornate in cui eravamo lontani che il villaggio fu assalito da una legione romana. Dopo avere bruciato le misere baracche fecero tutti prigionieri, li legarono e si avviarono per portarli a Roma per venderli come schiavi al miglior offerente.

La lontananza dal villaggio per la caccia fu dunque una fortuna per me e mio padre, anche se, ne ero certo, avremmo preferito essere lì per poter aiutare la nostra famiglia in un momento così drammatico.

Quando due giorni dopo tornammo al villaggio, della nostra casa non era rimasto nient'altro che un cumulo di cenere. Dopo aver cercato inutilmente i nostri cari tra le vittime e le rovine del villaggio, non avendoli trovati eravamo certi che, come gli altri abitanti, fossero sicuramente tra le persone che i romani avevano catturato. Decidemmo perciò di seguire le tracce che avevano lasciato durante il loro trasferimento per scoprire dove li avrebbero portati, sia i nostri famigliari che le altre persone che vivevano al villaggio.

Dopo quasi due mesi di cammino tra distese di sabbia e villaggi saccheggiati raggiungemmo Roma. Alcuni commercianti che venivano al nostro villaggio per barattare delle merci ci avevano parlato di questa città. Ma non immaginavamo che fosse così grande. Noi al villaggio avevamo case costruite con mattoni di paglia, mentre Roma, lungo i suoi viali, aveva palazzi enormi con solide mura in pietra e marmo; per noi sarebbe stato assai difficile riuscire a scoprire dove avevano portato i nostri cari.

Dopo quasi un mese dal nostro arrivo in questa città, scoprimmo che i prigionieri che avevano catturato al villaggio erano stati portati in uno dei centri di raccolta, dove sarebbero poi stati divisi per gruppi per essere venduti come schiavi al miglior offerente.

Purtroppo riuscire a trovare il centro in cui avevano portato mia madre e le mie sorelle, in una città come Roma, era un'impresa quasi impossibile. Noi però avremmo fatto di tutto per scoprire dove li avevano trasferiti

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