Da "L'amica dei libri", Antonietta Mirra
- Autore
- Marco Milani
- Pubblicazione
- 30/06/2021
- Valutazione
- 1
Il modo di raccontare di Marco Milani è magico, impolverato, soffuso, è come ascoltare la sua voce tenendo gli occhi chiusi e viaggiando in un tempo che non è solo quello fittizio dell’intreccio ma è il mio, il vostro, quello di tutti.
1900, Pechino. La fotografia che stringe tra le mani è tutto ciò che lo lega alla sua vita precedente, tutto ciò per cui vale la pena lottare in quel momento, circondato, insieme alle altre truppe europee, dai Boxer cinesi in rivolta. È la fotografia della sua famiglia, che lo ritrae insieme agli altri componenti attorno al patriarca, Filiberto Bondoli. Al suo ritorno dal fronte, a Ernesto, spetterà l’eredità, ma prima di poter essere degno di tale ruolo deve diventare un uomo, secondo il nonno. E nulla più della guerra può assolvere a quel compito. Ma Ernesto non torna dalla Cina, l’unica cosa di lui che rivedrà l’Italia sarà quella fotografia che l’ha rasserenato nelle interminabili notti cinesi, insonne per l’ansia e la paura di morire. È il suo compagno Mario a riportare la fotografia a casa Bondoli. Un po’ per il legame che nei mesi di guerra ha instaurato con quel giovane gentile e un po’ per un volto del ritratto di famiglia, una donna che si è impossessata dei suoi sogni e che vuole rivedere. Al suo arrivo a Ladispoli, Mario troverà in parte ciò che cerca da sempre, una famiglia, radici forti, una casa le cui fondamenta risalgono al passato e che nulla può far crollare. Una donna da amare, anche se solo da lontano, per tutta la vita. Ma troverà anche segreti celati e difesi col sangue e capirà che la fotografia da cui tutto è cominciato nasconde un universo intero. Un romanzo sui legami che tracciano solchi profondi nelle nostre vene fino a diventare parte di noi, una saga familiare, potente e delicata, che copre tutto il Secolo breve della storia italiana.
L’inverno del pesco in fiore è un romanzo che abbraccia la nostra Storia attraverso due visioni estremamente significative che vanno ad insinuarsi all’interno di una concezione narrativa realizzata in maniera impeccabile: i fatti storici che appartengono a tutti noi e le vicende narrate dei personaggi, seppur inventate, capaci di riflettere un microcosmo nel quale emerge la natura umana in tutta la sua splendida e terribile interezza.
Lo stile dell’autore, sin dalle prime pagine, si impone come un linguaggio leggero e sofisticato, qualcosa di poetico e magicamente descrittivo capace di rendere un perfetto connubio di realtà e immaginazione. La capacità descrittiva del minimo dettaglio emerge in tutta la sua potenza evocativa ed è così che il semplice soffio d’aria diventa bava di vento e una comune macchia d’acqua si trasforma in una pozza scintillante.
L’inizio è davvero fulminante non per azione o per movimento ma per una stasi piena di significato e di ricordi assolutamente incentrata nell’elemento portante dell’intera narrazione: una fotografia. La foto della famiglia Bondoli, quella famiglia di Ernesto, compagno fidato e fraterno di Mario Bardin, due ragazzi molto giovani ritrovatisi a combattere in Cina alle soglie del 1900.
Due italiani in terra straniera, due futuri uomini con un bagaglio di esperienze molto diverse che si rapportano e mettono a confronto vite e storia, presente e passato, sull’orlo di una guerra che distrugge tutto, ma non la speranza. La speranza raccolta in quella foto che appartiene ad Ernesto ma che diventa un sogno per Mario, che spesso gli chiede di poterla guardare ancora una volta, - mostrami ancora la foto -, perché nei volti di quella famiglia egli scruta i valori, l’affetto, la forza dell’amore e dell’unione, il senso di vicinanza ma soprattutto s’innamora del viso ribelle e sfrontato di una donna: Virginia.
Un senso di malinconia, di silenzio, di soffuso e ricercato, di impresso, di sbiadito e consumato, una storia che abbraccia l’arco di un secolo e che affronta tutti gli aspetti della vita umana, partendo da quelli più tragici come il dolore, la sofferenza, il senso di perdita e la morte. Il dovere, perché in quella guerra da cui nasce tutto, c’è un senso del dovere inarrivabile.
Ma voi davvero non avete paura? Certo che ne ho. Tanta. Ma più forte è il dovere. Dobbiamo accettare tutto ciò perché è nostro dovere.
La fotografia funge da emblema, da monito, da ricordo pulsante di una dimensione che Mario non conosce ma da cui è attratto in maniera incontrastabile. Quando Ernesto, il suo caro amico, morirà in Cina, a Mario non resterà altro, come dovere, come esigenza, come necessità viscerale dell’anima, di riportare proprio quella foto a quella famiglia che ha tanto ammirato e apprezzato in quei giorni di lontananza, di angoscia e di lotta.
Il patriarca della famiglia Bondoli, Filiberto, è un uomo integerrimo, un nonno forte e poco incline alle carinerie, un uomo che possiede terre ed una fattoria intorno alla quale si muovono le vite di tutti i parenti. Figli, nipoti, generi tra cui spicca la donna di cui s’innamora pur senza averla mai vista, proprio Mario, che quando giungerà a Ladispoli, incontrerà finalmente quegl’occhi tanto desiderati, ritrovando in quello sguardo la medesima passione e ribellione da cui si sentiva tanto attratto.
Con il passare del tempo Mario sarà per la madre di Ernesto, fonte di gioia e soprattutto un modo per sentire il figlio ormai perduto in guerra, ancora vicino, attraverso racconti e ricordi degli ultimi momenti della sua vita.
Mario saprà guadagnarsi la fiducia di tutti, lavorerà nella fattoria perché per lui non c’è altro luogo dove andare. Mario non ha famiglia, da piccolo è cresciuto in un orfanotrofio e non ha nessuno che lo attende o che possa prendersi cura di lui.
Mi ha colpito molto la figura di questo personaggio così delicato ma anche forte allo stesso tempo. Un uomo buono, di quella bontà così rara ma anche profondamente sensibile, delicata, dotata di una forza che lo rende simbolo di orgoglio e di fermezza. Infatti è proprio grazie alla sicurezza che la sua persona ed il suo sguardo trasmettono, che Virginia rimane colpita da quel giovane non bello ma sicuramente profondo e con una sofferenza ed uno strazio nell’animo che è impossibile da celare a lungo. Ma non c’è solo Virginia, il destino vuole che sulla strada di Mario appaia un’altra donna, Aurora, anch’ella parte della famiglia, che lo seduce e lo coinvolge in una relazione che segnerà definitivamente il rapporto suo e di Virginia, l’unica donna che lui abbia mai amato davvero.
Il modo di raccontare di Marco Milani è magico, impolverato, soffuso, è come ascoltare la sua voce tenendo gli occhi chiusi e viaggiando in un tempo che non è solo quello fittizio dell’intreccio ma è il mio, il vostro, quello di tutti.
Il suo incedere lento e filiforme, capace di adattarsi alle più piccole spigolature, sembra creato apposta per non ferire o tradire la sacralità di quel ricordo.
La vita passata di Mario è stata una vita triste e proprio nell’orfanotrofio gli hanno insegnato - Ama, ama e non pentirtene mai -, e lui questo insegnamento lo porta scritto nel sangue perché è ciò che farà per tutta la vita.
L’inverno del pesco in fiore, dal titolo evocativo e dalla copertina piena di memoria e di nostalgia, è un romanzo che va letto a piccoli passi, non è quel tipo di storie in cui ci si deve buttare dentro ma va gustato con il tempo e l’armonia. E’ melodioso, seppur racconti di tragedie e di meraviglie, di sogni e di incubi. E’ la storia di un amore grande, di un’immensità difficile da concepire con la logica, afferrabile solo con il senso dell’emozione e del sentimento che non ha varchi da superare perché non ha limiti. Un amore, quello di Mario e Virginia, proibito e sentito, a volte vincente altre sconfitto, un amore contrastato ma non come quello che si legge in tanti romanzi di oggi, vissuto per superficialità e per inganno, con sveltezza e anonimato, questo amore è reale, provato, si porta addosso i segni della Storia, della sofferenza, con un odore indimenticabile di passato e di antichità.
Gli era sembrata bellissima, così com’era quando aveva camminato lieve nei suoi sogni, nei lontani giorni della Cina, quando una foto in bianco e nero era stata sufficiente a elevarlo oltre le miserie della guerra e gli aveva permesso di gustare il sapore della speranza.
Un amore di cui oggi forse abbiamo perso il senso, troppo abituati alla velocità, al cambiamento, alla leggerezza, sinonimo di superficialità. Questo amore è legato al tempo e per questo è memoria ed è eterno. Un amore che richiama il vago incedere del pensiero legato ad una vicinanza mai provata fino in fondo ma comunque in grado di mantenere saldo un sentimento che non evapora mai, neanche per un istante.
Marco Milani è un autore da leggere, in grado di appassionare e di coinvolgere. Una scrittura, la sua, creata per i sentimenti, per le emozioni, per le immagini un po’ sfocate che richiamano il senso più nascosto di ciò che ci portiamo dentro. La nostra fragilità, la nostra commozione, i nostri brividi e quello strano ma vivo vuoto allo stomaco che ti fa sentire in modo inequivocabile che quel libro, quella storia, quella magnifica visione completa e totalizzante di un mondo umano fatto di scelte e di sbagli, di odio e di amore, di ferite e di inganni, ti ha incrinato le sensazioni, la pelle, il tuo percepire sensibile diventato tutt’uno con la volontà dell’autore.
L’inverno del pesco in fiore mi ha rapito e come diceva qualcuno… Io non tremo è solo un po’ di me che se ne va. Un po’ di me, insieme a questo romanzo magico.
Marco Milani
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