Io (Pretesti)

1. Il romanzo è costituito da un filo biografico: episodi, non in ordine cronologico, della vita di “lui” dall’infanzia alla vecchiaia. Per limitarsi all’infanzia e all’adolescenza, un ruolo importante, nel racconto della sua infanzia, hanno, fra altri personaggi: una bambina che abita di fronte a “lui” e che gli piace, Roberta, con cui scambia messaggi “da un lato all’altro del cortile, attraverso il cielo all’altezza del terzo piano, sopra le cime delle magnolie e delle palme”; e un sarto che abita in affitto un abbaino di proprietà di suo padre e che, al comparire nel romanzo di un giovane che in un porto del Vietnam scarica sacchi di cemento vestito di stracci, esclama: “Ma perché lavora vestito di stracci? Un po’ di dignità, che diamine! Io faccio il sarto, e posso cucirgli dei pantaloni e un camiciotto che, vedrà, di più belli e robusti non ne trova”. (Come non rispetta l’ordine cronologico, infatti, non sempre il romanzo rispetta l’unità di spazio e la verosimiglianza.) Della sua adolescenza si possono citare, fra tanti episodi: la vista a Napoli di “quel vecchio, al tavolo, i gomiti appoggiati al piano, la faccia tra le mani. Accanto una candela accesa”, che gli fa dire tra sé e sé: “Allora è tutto vero”; l’occupazione del suo liceo e altri episodi legati al Sessantotto, epoca di cui si dice: “Una dopo l’altra, tante bocche si stanno aprendo. Ed è come se fosse lo stesso fiato, passando di bocca in bocca, ad aprirle. Dove arriverà?”; ma anche l’amore, il primo, per Miriam, una compagna di scuola “lì sul cancello del liceo, con il poncho tutto colorato. La vedi? Che gesticola, che ride, i capelli neri”.

2. A questo filo biografico s’intrecciano due temi: 1. L’ossessione di “lui” di salire in alto, prima sulla “spianata del grande garage”, poi sul Duomo di Milano, da cui scende deluso perché da lì “non si vedono i nasi” della gente in piazza; 2. La sua scoperta che “tutti sono io” (da cui il titolo), fonte di «spavento, ma anche di sollievo», perché «quello che lui non può fare può farlo un altro, ed è lo stesso. È sempre io». Entrambi i temi compaiono fin dalla prima pagina del romanzo, e più esplicitamente qualche pagina dopo, quando “lui”, incontrando da bambino Roberta, le dice: “Senti, devo chiederti due cose importanti… La prima è: tu sei io?”. E poi: “Ci saliresti tu? […] Sul tetto del garage. Lassù in alto”. La scoperta che “tutti sono io”, d’altronde, è sempre legata a Roberta; avviene infatti quando lui, vedendola rientrare in casa dal balcone dopo uno dei loro scambi di messaggi a gesti, la segue e la vede con l’immaginazione “in cucina mentre apre il rubinetto, si riempie un bicchiere d’acqua e beve ad avidi sorsi. E poi seduta a tavola con i suoi genitori, e in camera sua a fare i compiti o, chissà, giocare con le bambole. E in bagno a spazzolarsi i denti, e a letto - le dà il bacio della buona notte, la mamma? - finché non chiude gli occhi e, la testa sul cuscino, i lunghi capelli sparsi che sfiorano il lenzuolo bianco, s’addormenta. E la mattina dopo, quando si sveglia ed è sempre lei. Questo, l’ha riempito di stupore: che è sempre lei. Va a dormire ed è lei, si alza il mattino ed è lei”.

3. Al filo biografico del romanzo e allo sviluppo dei suoi due temi principali sono intervallate digressioni in cui, a volte, prendono la parola una o più voci terze, come fuori campo: quando, per esempio, si racconta che attraversando il cortile della sua casa per andare a scuola a volte “lui” preferisce, invece che percorrere lo stretto marciapiede rasente ai muri, tagliare per un vialetto di ciottoli fra le aiuole, una voce gli domanda: “Perché?”. Lui risponde “boh…” e “si stringe nelle spalle”, ma subito intervengono altre voci: “Secondo me gli piace sentire i ciottoli scricchiolare. È un bel rumore”; “secondo me gli piace sentire il rumore dei suoi piedi”; “secondo me gli piace camminare dove non è previsto che si cammini”; “secondo me camminare su quei ciottoli […] gli dà di più l’impressione di camminare sulla terra”. “Spiegazioni” che innescano a loro volta altre digressioni: “Perché è bello sentire i piedi, che camminano, che corrono, che saltellano…”; “perché è bello sentire le gambe…”; “com’è grande, la terra. Ma è anche piccola: basta chinarsi per prenderne in mano un pugno…”; “e piedi la calpestano, la terra, e l’hanno calpestata, cento miliardi di piedi, dicono, finora, di uomini e donne. E altri la calpesteranno. […] La terra è l’impronta dei piedi”.

4. A punteggiare il romanzo sono inoltre sorte di “preannunci” (graficamente allineati a destra) e domande. Nelle prime pagine, per esempio, le parole “Ma la porta, io, non ce l’ho” preannunciano un episodio successivo, in cui “lui” e sua moglie vedono una vecchia la cui “voce è un filo, il corpo accartocciato per terra”, che interrompe la narrazione, in un punto in cui si parla di case e porte, esclamando “Ma la porta, io, non ce l’ho”. Quanto alle domande, sono sempre in qualche modo indotte da qualcosa che è stato detto nella parte più narrativa del romanzo e, se alcune ricevono più risposte, altre non ne ricevono nessuna: per esempio, all’episodio del vecchio a Napoli di fronte al quale, come s’è già detto, “lui” pensa che “allora è tutto vero”, segue la domanda “che cosa è vero?”, che verrà ripetuta una decina di pagine dopo e troverà una risposta dopo un’altra ventina di pagine. Un’altra domanda, “che cosa ci sarà, dopo quei campi, fra le colline, al mare, da entusiasmarsi tanto?”, viene ripetuta più volte nel corso di tutto il romanzo e riceverà una risposta indiretta dal suo epilogo.

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