Un elefante a Venezia

A metà del XVII secolo l'imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II d'Asburgo, riceve in dono dal Sultano d'Egitto un elefante affinchè possa sapere in anticipo se un avvenimento sarà fausto o infausto a seconda che l'animale alzi o meno la proboscide. Forse perché ospite in un clima a lui non agevole, forse perché spaesato nel trovarsi non più nella giungla o nei deserti amici ma nella fredda Praga, l'elefante tiene però la proboscide sempre abbassata, segno di eterna sfortuna.
Così Rodolfo, annoiato dal pachiderma, decide di inviarlo a Venezia in dono al Serenissimo Doge nella speranza di ottenerne in cambio l'appoggio contro la Francia. E dulcis in fundo, affida la delicata missione ad un ambasciatore verso il quale non nutre un grande amore, il conte Ottone di Wittgestein, confidando in tal modo di potersene liberare.
Giunto in terra veneta senza particolari intoppi, il convoglio di Ottone che ha ordini tassativi di non passare per il Castello di Mestre, dato che lì dono è confidenziale, si ferma presso un cason di umili barcaioli nei pressi di Orgnano (l'odierna Oriago), dove chiede alloggio e il servizio di trasporto. .
Da qui comincia l'avventura di Maria di Hradec figlia minore della famiglia di barcaioli, che racconta in prima persona tutto. l'accaduto: rincontro sorprendente con il prodigioso leonfante, che si rivela un mostro mansueto; la sorprendente conoscenza con due ''mori'', due bambini etiopi condotti al seguito del pachiderma; lo stratagemma studiato da suo padre Toni Luson per condurre l'elefante fino a Palazzo ducale;
le profezie di Giovanna la Striga, che avvisa l'ambasciata e la famiglia di un tentato sabotaggio...

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