Il protagonista, il colpevole di questo giallo efferato e cupo, è indicibile. Non puoi dargli un nome e non puoi svelarlo. Ma quando uno storico della scienza come Paolo Mazzarello decide di scrivere un romanzo, e un romanzo di delitti e di misteri, ha una sola strada possibile: mettere nel libro tutto quello che un lettore non si aspetterebbe, ovvero filosofia e logica.
Ma non solo, l’autore racconta una storia di omicidi, compiuti da qualcuno, che sembrano obbedire a una logica, a un disegno, come nella migliore tradizione giallistica, che seguono un filo, unico appiglio per degli investigatori sgomenti e turbati. Peccato che questo filo sia governato dal caos, dall’imponderabile, da una mente superiore che si ha persino paura di scoprire, perché il fatto stesso che possa esistere cambia il nostro modo di guardare il mondo, e mette in profonda crisi la nostra idea positiva della scienza e della tecnologia. È una terra di nessuno quella in cui si muovono i personaggi di questo libro, che comincia con un delitto in un mulino negli Stati Uniti e con un rapimento, e continua a crescere come fosse una foresta, un bosco narrativo che non ha disegnato nessuno, dove non ci sono sentieri. Mazzarello ci porta in un mondo diverso da quello frequentato dai giallisti tradizionali. Non si tratta soltanto di commissari e di pazzi maniaci che mandano mail misteriose, non si tratta di capire cosa accade ma soprattutto perché accade. E in quel perché c’è una vera e propria teologia, c’è il male e il caso, l’orrore e l’indifferenza. Con grande abilità l’autore del Mulino di Leibniz ci conduce dove nessuno di noi saprebbe arrivare con le proprie forze. E conferma la vecchia ipotesi di Borges: l’unico giallo che si deve ancora scrivere è quello dove l’assassino è il lettore.
«Improvvisamente un cigolio sordo fendette l’aria. Si sporse ancora più in avanti nel buio. Appena un millesimo di secondo per avvertire una pressione infinita. Poi più niente. E precipitò nel nulla. O forse nel tutto».
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