“Anche se la mente non poteva rammentare, il cuore non aveva dimenticato”.
Dopo un anno di lontananza, Jessica torna a Venezia alla ricerca di risposte che possano sbrogliare i sentimenti confusi che la opprimono. Ma nella città lagunare si nasconde molto più di quanto pensa di rinvenire.
Sfuggita grazie all’intervento di uno sconosciuto a una minaccia mortale, si trova improvvisamente precipitata in una realtà sconosciuta e spaventosa, dove la sua vita è perennemente appesa a un filo.
Mentre un puzzle di ricordi si ricompone e un amore sopito palpita per rinascere dalle sue ceneri, creature dannate si aggirano per le calli, di notte, in cerca di preda. Jessica dovrà imparare a capire velocemente di chi si può fidare, perché nella Venezia degli alchimisti, quando i tuoi occhi possono vedere ciò che è nascosto, la morte ti alita sul collo per proteggere segreti che non devono essere svelati.
Il primo volume di una dilogia fantasy che vi porterà al di là del velo sottile che offusca la vista degli umani. Un amore che lotta contro un destino avverso. L’inizio di un’avventura con in gioco il futuro del nostro pianeta.
“Se si vuole scoprire il segreto dell’universo, si deve iniziare a pensare in termini di energia, frequenza e vibrazione”.
Nikola Tesla
Estratto:
Arretrai di un passo per andarmene, ma in quell’istante l’unico occhio di lei che vedevo, essendo rispetto a me di profilo, di colpo uscì dal suo alloggiamento nell’orbita, come se qualcosa dall’interno lo avesse spinto con forza verso l’esterno.
Amalia si voltò di scatto dalla parte opposta alla mia, portando una mano sulla faccia. Mi si rizzarono i capelli sulla nuca. Non ebbi il tempo di dire nulla che Amalia, come se niente fosse, riportò la mano sul tagliere e ritornò alle sue faccende. Il bulbo oculare riposizionato correttamente.
«Mi era entrato qualcosa nell’occhio», farfugliò, sminuendo l’accaduto e mettendoci un impegno smodato nell’affettare una carota. Sulla sua guancia c’era ora quello che sembrava un grumo di sangue rappreso.
Rabbrividii. Mio Dio, ma era una cosa normale? Le capitava spesso?
Indietreggiai, tentando di non lasciar trapelare il mio disgusto, quando il mio sguardo venne attirato da qualcosa sul pavimento, al di là del tavolo. Due piedi infilati in altrettante pantofole rosse sbucavano da dietro una sedia. Impiegai alcuni secondi per mettere a fuoco la situazione e rendermi conto che c’era il corpo di qualcuno steso sulle piastrelle tra la tavola e il sofà. Dalla mia posizione riuscivo a scorgere solo gli arti inferiori.
Il cuore impazzì e iniziò a tamburare contro il petto mentre riconoscevo quelle ciabatte dalla punta lisa e notavo la chiazza creata da un liquido cremisi che si estendeva fino al divano. La pressione scese in picchiata, la vescica minacciò di svuotarsi, ma per miracolo mantenni il controllo.
«Cos’hai?», chiese seccamente Amalia, che aveva interrotto il suo lavoro e adesso mi fissava.
Il mio terrore dovette trapelare da ogni poro, ma tentai di bluffare.
«Niente», mentii.
Dovevo chiamare la polizia. Subito. Immediatamente. Amalia aveva dei gravi, serissimi problemi. La mia coinquilina era una psicopatica assassina o qualcosa del genere.
«Magari vado ad aiutare Davide con le pizze. Ho scordato di dirgli che volevo anche delle patatine». Presi a camminare all’indietro per raggiungere la porta.
In quel momento Amalia sollevò lentamente il coltello. Avvertii ogni singolo organo dentro di me tremare. Poi lei, con un movimento repentino, si piantò la punta della lama sul dorso della mano che teneva aperta sul tagliere. Non emise un gemito né la sua espressione cambiò per denotare il benché minimo dolore, rimase solo immobile a osservare la mia reazione, che non tardò ad arrivare.
Lo stomaco si ribaltò. Sgranai gli occhi. «Porca vacca!», esclamai senza essere in grado di trattenermi.
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