La conclusione di un pensiero di cui non conosciamo né l'inizio né il contenuto. È questo ciò in cui si imbatte il lettore che ha sotto gli occhi Pericope. Da lì in poi inizia una sequenza di altri pensieri e ricordi e riflessioni e ancora deduzioni che apprendiamo direttamente dalla voce narrante di Mario, il protagonista, il quale, dopo una notte insonne, attraverso una sorta di flusso di coscienza rallentato, estremamente quanto necessariamente chiaro, e per questo immediatamente accessibile al lettore, si rivela nel suo essere e nella sua essenza.
Lo scritto in questione non si è lasciato ingabbiare da nessuna necessità funzionale, non ha perseguito alcuno scopo, non ha preteso di saggiare alcun tema in particolare e neppure di farsi intrappolare da un genere piuttosto che da un altro, pur districandosi tra un contenuto di matrice drammatica e una sequenza tragicomica, sfiorando una vicenda storica, aggrovigliandosi via via in una spirale grottesca, sfociando a volte nell'horror e persino nella fantascienza.
Lo scritto in questione è puramente sé stesso, uno scritto in quanto tale, libero, assoluto, superfluo, inutile, un estratto accidentale offerto sotto forma di non-romanzo, di non-racconto, narrato tutto d'un fiato, una pericope, per l'appunto, di una vita qualunque, di un Mario qualunque, di un me come tanti.
Pericope è un tentativo fine a sé stesso, una provocazione che non ha bisogno di essere accolta, un allarme silenzioso che forse, o forse no, risuonerà in chi ci avrà buttato un occhio.