Questo romanzo è una dichiarazione d’amore. Un amore che, come tutti gli amori, è inseguimento, risposta a un richiamo imperioso.
C’è un luogo e c’è un tempo in cui quell’amore è nato.
C’è stato un presente verde di fronde, di cicale assordanti, di pomeriggi assolati in cui ogni cosa, ogni grido, ogni tuffo, ogni ginocchio sbucciato, ogni litigio e sasso e passerotto, tutto è stato infinito, e affilato, da incidere in profondità la vita per poi renderla per sempre orfana.
C’è una casa e una valle chiamata Cuscino degli Olivi, a ridosso delle Alpi Apuane, dove il piccolo Marco ha trascorso le estati, una selvaggia parentesi dalla vita cittadina di Firenze. È un altro ecosistema, altre facce, altri passatempi di fango, di timide virilità e crudeli riti silvani: tra cacce a granchi di fiume, bagni al torrente e miseri duelli cavallereschi, l’intuizione del mistero che avvolge l’uomo, gli dà respiro, si fa strada in lui.
Marco s’immerge in quei luoghi e li scruta con l’entusiasmo dello straniero. È un mistero da leggersi sulle guance striate di polvere dei compagni di gioco; lo stesso che increspa l’azzurro liquido degli occhi di Agata, mentre lui la fissa in silenzio, diffidente ma già incantato.
Ed è il mistero dei misteri, legato al “mostro” temuto e corteggiato dai ragazzini: lo “Zò”, l’uomo inselvatichito che s’è ritirato a vivere tra i boschi.
La sua eredità è la voce di un mondo puro e morente, che Marco saprà raccogliere, ormai adulto, decidendo di tornare laddove fu davvero felice.
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