La Repubblica del dolore: Le memorie di un'Italia divisa

“La politica oggi non sa proporre antidoti ai guasti di una memoria fondata sulla centralità delle vittime”

La memoria pubblica è un “patto” in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciar cadere degli eventi del nostro passato. Questi eventi sono i pilastri su cui fondare i programmi di studio per le scuole, i luoghi di memoria, i criteri espositivi dei musei, i calendari delle festività civili, le scelte sulla base delle quali si orientano tutti i sentimenti del passato che attraversano la nostra esistenza collettiva. I fondamenti di quel “patto” cambiano a seconda delle varie “fasi” che scandiscono il processo storico di una nazione. Vent’anni fa, la classe politica uscita dal crollo della Prima Repubblica venne chiamata a una complessiva opera di “rifondazione”. Vent’anni dopo prendiamo atto di un vero fallimento. A tenere insieme il patto fondativo della nostra memoria sono oggi infatti solo il dolore e il lutto che scaturiscono dal ricordo delle “vittime”. Della mafia, del terrorismo, della Shoah, delle foibe, delle catastrofi naturali, del dovere, vittime, sempre e solo vittime. Per emozionare, commuovere, suscitare consenso, le sofferenze vanno gridate, possibilmente in televisione. Quasi che le emozioni siano merci e che sia il mercato a imporre le sue regole, nel controllarne la domanda e l’offerta. Ma non è al mercato che si può chiedere di costruire una forma di bene comune e tantomeno una religione civile.

 

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