Il Gringo Vecchio (La cultura)
- Autore
- Carlos Fuentes
- Editore
- Il Saggiatore
- Pubblicazione
- 17/09/2015
- Categorie
Nel 1913 Ambrose Bierce, scrittore e giornalista statunitense ormai settantenne, noto per un pessimismo tanto radicale e beffardo da valergli il soprannome di Bitter, «l’amaro», scrisse agli amici parole d’addio, entrò in Messico attraversando il Rio Grande e – si dice – si unì alle truppe rivoluzionarie di Pancho Villa, per poi svanire nel nulla. Il mistero della sua scomparsa ha affascinato generazioni di scrittori, e il suo mito rivive nell’abbagliante immaginazione di Carlos Fuentes. Una morte gloriosa, anche se per una causa in cui non crede: a questo aspira Bierce, gringo vecchio e tormentato, montando una cavalla bianca sotto il sole arrabbiato e il vento crudo del deserto di Chihuahua. Terre abbandonate, fangaie, saline, vecchie miniere. Terre di indios non sottomessi, spagnoli rinnegati e disgraziati ladri di bestiame. Lo assillano i ricordi della guerra civile – Nono Reggimento dei Volontari dell’Indiana –, e la frivola civiltà nordamericana continua a solleticare il suo glaciale cinismo, già spinto al parossismo dalla tragica perdita di due figli. Meglio dunque morire per mano d’altri che di vecchiaia o di suicidio. Meglio la rivoluzione. In Messico il gringo vecchio entra in contatto con Tomás Arroyo, giovane generale di Villa, arrogante e passionale, e con Miss Harriet Winslow, compatriota ingenua e testarda che si ostina a non abbandonare l’hacienda dove è stata chiamata come insegnante, persino dopo la fuga dei proprietari. L’incontro fra queste figure – ognuna rinchiusa nella propria storia individuale e nei confini mentali del proprio retroterra nazionale, mentre sullo sfondo furoreggia la Storia – illumina l’epopea della rivoluzione messicana nella prospettiva del tragico e paradossale impatto fra due culture inconciliabili, eppure così intimamente legate l’una all’altra. E al dualismo Stati Uniti-Messico si affianca nel Gringo vecchio l’incessante contrasto universale fra realtà e illusione, natura e civiltà, amore e odio, speranza e disperazione, che fa di questo romanzo una delle più alte espressioni del simbolismo barocco e visionario di Fuentes, maestro riconosciuto della letteratura latinoamericana.
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