Le mille patrie

Scritti in gran parte fra il 1945 e i primi anni sessanta, e pubblicati su giornali e riviste italiani e stranieri, questi articoli di Carlo Levi ci conducono in un paese che si appresta a vivere un profondo cambiamento, da Nord a Sud. E lo scrittore torinese lo percorre per intero, dal Polesine alluvionato fino alle campagne meridionali, immergendosi nelle «mille patrie» che lo compongono con lo sguardo acuto di chi avverte che è all’opera, in quell’Italia povera che è al centro di gran parte di questi testi, un fiume carsico di lotte contadine che travolgeranno proprio quel Mezzogiorno tradizionale e chiuso raccontato magistralmente nel Cristo si è fermato a Eboli.

Sono numerosi e complessi i piani su cui si dispone la scrittura di Levi, tutti però attraversati dalla passione, dalla solidarietà verso gli umili, dalle ragioni dell’arte, da un’istintiva curiosità verso il mondo. Intense sono per esempio le pagine in cui Levi descrive con tono commosso il rapporto degli italiani con le opere d’arte, un rapporto che lo scrittore definisce «quasi esistenziale », «condizione di vita, casa, grembo materno», in cui «le rovine non sono mai morte, rimangono come cose attuali, adoperate, vissute».

Per essere soggetti attivi del presente occorre conoscere il passato del proprio paese, la multiforme ricchezza delle sue terre e delle sue genti, e dialogare con esse per progettare il futuro. L’impegno civile e politico di Carlo Levi si traduce qui nella dimensione narrativa senza retorica e senza enfasi, ma con una partecipazione viva e sincera alle vicende di una umanità varia, di una civiltà grandiosa, di un paese sospeso tra modernità e tradizione.

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