Prose rondesche
Non tutti i testi qui radunati comparvero, però, sulla «Ronda». Dei venti capitoli, ad esempio, che andarono a formare il libro, fortunato quant’altri mai, dei Pesci rossi (1920), con cui s’inaugura la carriera di Cecchi prosatore, soltanto tre erano stati anticipati sulla rivista di Cardarelli, mentre per la più parte provenivano dalla terza pagina della «Tribuna». Analogamente, le anti-eroiche corrispondenze di guerra di Baldini, prima di essere riproposte in volume col titolo dantesco di Nostro Purgatorio (1918), erano state mandate, a scadenze regolari e prima ancora che «La Ronda» stessa venisse varata, all’«Idea Nazionale» e all’«Illustrazione Italiana». E sempre «L’Idea Nazionale» si assicurò, di Baldini, anche il Michelaccio, la cui esistenza leggendaria e proverbiale, picaresca e rabelaisiana, fu narrata in 9 puntate nel corso del 1920.
Ma anche queste opere fanno capo virtualmente alla «Ronda», di cui riflettono, o anticipano, poetica e ideologia. Del resto, Cecchi e Baldini, insieme a Cardarelli, a Bacchelli, a Raimondi e Montano, figurano tra i promotori della rivista e vanno annoverati a tutti gli effetti tra gli esponenti più illustri di un gusto che appunto nella «Ronda» trovò il catalizzatore e l’araldo, la coscienza riflessa e il canale d’irradiazione. Di fronte alla preminenza del marchio inconfondibilmente rondesco che recano senza distinzione tutti i prodotti del gruppo, la questione contingente degli sbocchi editoriali passa dunque in secondo piano. La presente raccolta di testi non vuol essere tanto un compendio della rivista, quanto della letteratura che ad essa idealmente si richiama: non una panoramica della «Ronda», ma un’antologia della prosa rondesca. E l’inclusione, in essa, di due “rincalzi” come Savinio e Savarese sta a dimostrare la vitalità di una formula, il suo potere di suggestione, la capacità immediata di generare nuove esperienze letterarie o di attrarle nella propria orbita.
Tratto dalla Nota del curatore
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