Il Nemico, vol. II (of 2) (Il Nemico Series)

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PARTE SECONDA

I.

Quando giunsero al castello di Ourikow, a cent'ottanta verste da Mosca, era circa mezzogiorno.

Per la vasta campagna la neve si stendeva alta e bianca, senza che una sola ondulazione del terreno potesse un istante arrestare lo sguardo. Avevano viaggiato tre giorni su quel bianco, sotto un cielo plumbeo, tormentati da un vento leggero, che sferzava loro la faccia congelandovi l'alito. I cavalli, colla coda e la criniera sonanti di diacciuoli, sembravano avanzare fra una nuvola di fumo vaporante dal loro lungo pelo, sul quale si sarebbe mutata in brina al primo allentare del trotto. Alti pali, a enormi distanze, segnavano la direzione della strada; passavano poche vetture. La campanella ondulante sul dorso del cavallo di mezzo, gettando il proprio appello monotono nell'abbandono gelido del paesaggio, vi destava una invincibile malinconia. Loris guidava con mano sicura i tre cavalli e non parlava col principe, sepolto dentro la pelliccia e sotto l'enorme berrettone, se non per chiedergli qualche indicazione sulla strada; davanti ad essi nessun punto, che potesse somigliare ad una meta. La neve, abbacinando i loro sguardi, raddoppiava col proprio candore l'immensità di quel silenzio non paragonabile nemmeno a quello del mare, ove le acque si muovono, e l'occhio va lontano sopra una mobile gamma di colori sino all'altro lido del cielo.

I villaggi si distinguevano solo entrandovi, perchè gli occhi, stanchi di quella bianchezza, non potevano cogliere da lungi il rialzo dei loro tetti. Le loro isbe circolari, a distanza l'una dall'altra, cinte da un alto stecconato nereggiante fra la neve, lasciavano sfuggire qualche pennacchio leggero di fumo, e tacevano. Gli abitanti vi dormicchiavano intorno alla stufa nel caldo; tutte le immondizie s'accumulavano diacciate e nauseanti agli usci per putrefarsi, quando i primi venti della primavera scioglierebbero la neve, ma ora testimoniavano sole della presenza degli uomini. In quell'inverno e per quelle steppe nessuna idea era possibile. Come radunare il popolo in quella stagione? Come deciderlo a uscire dalle isbe, mettendogli in cuore una passione, che il gelo e il bianco dell'aria aperta non facessero vanire?

Sopra ogni villaggio torreggiavano la chiesa e il castello; la cupola colorata dell'una, e le mura dell'altro dominavano nella pianura, mentre le isbe si acquattavano loro sotto in una quiete di tane. Solo il castello e la chiesa scrollavano talora colle campane quel silenzio, che nessun'altra voce sarebbe bastata a rompere oltre il breve raggio dello sguardo abbarbagliato. Il solco delle slitte e delle ruote tracciava la strada, i fiumi gelati e scomparsi sotto la neve s'indovinavano appena in un avvallamento del terreno, mentre alcune foreste lunghe, ma di bassissimo fusto, troppo cariche di neve per disegnare abbastanza visibilmente la loro intricata barriera, parevano poco più di un rialzo bucherellato, dietro il quale il pensiero non sapeva che cosa immaginare.



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