Nel nome di un dio barbaro (Supercoralli)

Un oscuro episodio di eros, violenza e guerra apre il romanzo. Un delitto senza castigo né espiazione. E che in ogni caso non placa quel dio barbaro che è pur sempre Amore. Rigomago, provincia profonda. È una sera del febbraio 1921 e in un vecchio palazzotto di città si danno appuntamento personaggi privi d'identità sociale, misantropi sublimi, anime in pena, sognatori. Credono di averlo già pagato il conto con la vita. E invece... Il padrone di casa, giovin signore che vive della vita degli altri più che della sua, medita un gesto estremo. Ma prima di intraprendere il suo viaggio verso il nulla rivolge un ultimo sguardo al mondo che s'inabissa. Forse cerca un aiuto, o un viatico. E crede di trovarlo in certi quadernetti neri. Dove lui stesso ha raccontato la storia di ciascuno dei suoi ospiti. Sono microtragedie ironiche e patetiche che un filo comune lega. Come quella in cui una lettera inaspettata e priva di mittente basta a sconvolgere l'esistenza di un lui e di una lei incatenati da un sentimento esclusivo. O come quell'altra in cui il caso fa balenare a una giovane coppia l'immagine di un paradiso a portata di mano, trascinandola in un'avventura votata alla catastrofe. Per non parlare dello zingaro che arriva, irrompe nella vita di chi mai e poi mai se lo aspetterebbe, e subito è un incendio che fa luce e porta rovina. Sempre si tratta dello straniero che incanta e seduce ma nello stesso tempo ferisce al cuore, anche in modo mortale. Non è lui il dio barbaro, dio tenero e crudele, ultimo dio rimasto all'uomo non si sa se per consolarlo o per tormentarlo? O forse c'è dell'altro. C'è la strana ma preziosa alchimia spirituale che converte gli inganni del cuore e della mente in una forma paradossale di verità. Secondo l'antico detto tragico per cui non è data nessuna conoscenza se non attraverso il dolore.

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