La festa del ritorno

«Gente, ho deciso che non riparto, starò per sempre a Hora con la mia famiglia, con voi. Questa ormai non mi serve più.» E così dicendo fece un gesto che nessuno si aspettava: lanciò con rabbia la valigia in aria. La vidi rotolare dentro le scintille, come un pallone calciato a effetto, e poi precipitare al centro del fuoco. Le grosse braci si frantumarono di botto, liberando sciami di scintille in tutte le direzioni. "Sembra che tutto nasca da quel fuoco crepitante e dallo sciame di scintille sollevate dal vento notturno" scrive il critico Alfonso Berardinelli a proposito della Festa del ritorno. Ed è proprio così: in questo racconto di un padre e di un figlio Carmine Abate porta la temperatura della narrazione e quella della sua lingua a un punto di perfetta fusione, regalandoci un romanzo magico, sospeso tra il realismo di vite scandagliate nella loro quotidiana fatica e l'incanto che nasce dallo sguardo di un bambino. Marco, il giovane protagonista di queste pagine, dà voce per noi alla meraviglia di crescere in una terra piena di profumi e sapori – la Calabria arbëreshe che è il nucleo immaginativo fondamentale della narrativa di Abate – e insieme racconta lo struggimento e la rabbia per la lontananza del padre emigrante. Saranno proprio le parole nate intorno al grande fuoco di Natale a suggellare un disvelamento del padre al figlio e del figlio al padre, in un passaggio del testimone tra generazioni che ha il passo epico di una grande favola iniziatica. La lingua ricchissima che Abate intesse mescolando termini arbëreshë, dialetto, italiano crepita in ogni pagina e riverbera emozioni di grande potenza. A dieci anni dalla sua prima edizione nella Piccola Biblioteca Oscar, con la quale vinse il premio selezione Campiello, ecco una nuova edizione di questo romanzo, che è una indimenticabile storia d'amore, un racconto di formazione e una preziosa testimonianza sulla nostra emigrazione.

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