Se il fiume fosse whisky (Einaudi. Stile libero Vol. 807)

Come altri importanti scrittori americani, Philip Roth, per esempio, T. Coraghessan Boyle dichiara guerra alle due facce estreme e contrapposte della società americana contemporanea: la correttezza politica e il cinismo dilagante. Una comicità spietata, che confina spesso con il grottesco, trascina il lettore dentro le storie mirabolanti e tenere di questa raccolta: cosa non si fa per amore, per denaro o per la gloria, potrebbe essere l'epigrafe di ciascuno dei racconti che la compongono. Boyle sfida l'immaginazione piú sfrenata del lettore, con i suoi personaggi pronti a tutto: a far l'amore avvolti in un preservativo gigante, a tuffarsi nudi nell'Hudson in pieno inverno, ad andare a caccia di orsi selvaggi nelle Sierras addomesticate per conquistare una donna, a scalare con la corda e i ramponi la facciata a specchio di un grattacielo, a cambiare l'immagine di un famoso ayatollah per renderlo appetibile al pubblico televisivo americano, a fare un patto con il diavolo in persona per salire alle luci della ribalta o conquistare quel successo che ai tempi dei padri fondatori era un segno della benevolenza divina. Non mancano storie intrise di dolore, di una tristezza mite e consapevole che ricorda i piú delicati racconti di Raymond Carver: dalla dolce follia di una vecchia signora maltrattata dal marito e dalla vita, all'improvvisa maturazione di un bambino che assiste impotente alla morte dell'amore tra i genitori. L'esuberanza e l'umorismo della scrittura di Boyle non ingannano il lettore: i temi dei suoi racconti sono quelli della grande letteratura americana fin dalle origini, e non è solo con un senso di appagamento e divertimento, ma anche di inquietudine e disagio, che si staccano gli occhi dalla pagina alla fine, ma solo alla fine, di questo libro.

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