Il libro di Don Chisciotte

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Sarà, giorno più giorno meno, un anno, io ritornai a Roma dalla Calabria, ove avevo bevuto del buon vino di Sambiase e scritto alcuni miei pensieri intorno agli ultimi nefasti della novellistica italiana che a moltissima gente, anche non novelleggiante, erano parsi troppo scismatici. Figuratevi: appena disceso dal treno corsi a vedere i miei amici del Capitan Fracassa, e con maraviglia grandissima li trovai tutti furibondi contro di me. Celiarono, motteggiarono, mi dettero ridendo dell'asino, dell'imbecille; i più benevoli mi dissero affetto da un qualche subitaneo accesso di pazzia; e non mancò chi, chiamatomi a parte, mi ammonisse fraternamente di guardarmi dai sortilegi del mio buono e sperticato [10] amico Angelo Sommaruga, il quale mi dimostrava, dicevano, d'avanti alla baracca bizantina a caprioleggiare per chiamar gente.

Come io accogliessi quelle celie, quelle canzonature e quegli ammonimenti de' miei migliori amici, non occorre dire: risi anch'io, tanto per fare qualcosa; e ritornando a casa la notte pieno di sonno e di stupore, mi persuasi che in Italia, ora, chi affermi che per scrivere qualcosa in lingua italiana sia necessario almeno di sapere la lingua italiana, fa la figura di don Quijote visionario di cavalleria nella Spagna di Carlo V e di Filippo II. E poichè l'età e un naturale sconcerto dell'organismo mi traggono ai cimenti d'un caballero andante, mi piacque di fare il don Quijote della novissima letteratura italiana, senza lasciarmi dissuadere dal primo incontro dei molini a vento.

E la seconda avventura non fu meno terribile della prima, poichè certe mie opinioni ereticali intorno al dramma moderno parvero così goffamente serpentesche al marchese D'Arcais e a tutti gli altri ultimi credenti nella grandezza del teatro, che invano, per più notti consecutive, io mi sfiatai a confortare le mie affermazioni pubbliche di molte dimostrazioni private. Ridevano quei maledetti, e mi chiamavano il Coccapieller della letteratura italiana; e per sino il mio buon amico Arnaldo Vassallo, che non ha dubitato di collocare la [11] Mecca in Africa e di annegare l'amico di Ero nello stretto di Messina, rinfacciandomi di essere stato bocciato nell'esame di geografia, mi ammoniva che chi non sa molto sicuramente le divisioni e la nomenclatura del sistema alpino non può sentenziare di cose drammatiche. Allora io, ritornando ostinatamente su quel medesimo argomento, pubblicai questo brano di prosa che parve una spavalderia, e non era se non un proponimento:



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