Pazzerellina

Forse non la si può dir bella ma interessante dev’esserlo senza dubbio. E anche capricciosa, ma senza quelle moine che tanto irritano i maschi, quegli occhi vittimistici al cielo che fan venir voglia di porre mano allo spiedo e compiere uno scempio. La nostra eroina non fa uso di sospiri né di lacrimucce e certamente ritiene antisportivo — nella guerra fra i sessi che la vede in prima linea — far leva sui sensi di colpa cui ricorrono le sue compagne per arginare, imbrigliare e devitalizzare i loro partner.
Dunque lei è capricciosa/imperiosa e lui è tanto bello quanto fragile e corto. Ma non del tutto stupido se, rendendosi conto dei suoi limiti (intellettuali e caratteriali), fa ricorso a un amico filosofo pragmatico che cerca di pilotarlo come può fra i gorghi di una passione narcotizzante.
Lei è la gallina Cicuta, lui il gallo Rosolaccio, due bestie che, insieme a tante altre (cani, gatti e anche un somaro volante), Tommaso Catani mette in scena, agli inizi dello scorso secolo, sul verdeggiante teatro di Mercatale e delle campagne toscane. L’idillio, tuttavia, fa da pura e semplice cornice a una saga narrativa tumultuosa e anche crudele, di cui questo Pazzerellina è un luminoso esempio: Cicuta, dopo aver indotto quel babbeo del gallo Rosolaccio a far cambiare pollaio alle sue galline, esce di senno e muta identità sessuale. Il caso è tanto serio da attirare l’interesse di due eminenti scienziati (uno organicista, l’altro più sensibile alle ragioni dell’anima). Chiusa in un manicomio e in preda ai suoi fantasmi, Cicuta si serve delle sue arti femminili (sempre ai danni di un cuore semplice ma di diversa specie, il cane Tarabaralla) per evadere e abbandonarsi a nuove avventure. Ponson du Terrail, pur disponendo di protagonisti umani, non avrebbe saputo far meglio.

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