Questa città che non finisce mai. Lettere da Roma 1822-32: Con un saggio di Emanuele Trevi (Utet Extra)
Delle citta? in cui Giacomo Leopardi si trovo? a vivere, nei vari, e vani, tentativi d’allontanarsi definitivamente da Recanati «natio borgo selvaggio» per farsi largo, a suo modo, nel mondo, non c’e? forse un luogo che abbia amato meno di Roma. «Citta? oziosa», «dissipata», «senza metodo», fonte di noia e di noie costanti, popolata da gente insulsa, rumorosa, ignorante, innamorata solo del proprio antico splendore monumentale, la «grande citta? che non finisce mai» non finisce mai, di fatto, di deludere Leopardi. «La grandezza loro m’e? venuta a noia dopo il primo giorno» e? il giudizio lapidario di Giacomo espresso in una lettera a Carlo, all’inizio del suo primo soggiorno romano (novembre 1822 – aprile 1823). Tutto il giorno i romani «ciarlano e disputano, e si motteggiano ne’ giornali, e fanno cabale e partiti», credendo di contribuire cosi? al progresso dell’umanita?. Con linguaggio vivace e spesso molto diretto, Leopardi riversa nelle lettere da Roma, per dirla con lo studioso Giovanni Ferretti, «l’anima sua», che nel carteggio «si espande». Senza trovare pero?, nel primo e tantomeno nel secondo periodo romano (ottobre 1831 – marzo 1832, al seguito dell’amico Ranieri, trasferitosi in citta? per amore di un’attrice), una corrispondenza qualunque tra realta? esterna e moti interiori. In questa citta? vacua e sterminata Leopardi si perde, riuscendo a conservare pero? limpida e quasi ininterrotta quella che lui stesso definisce la comunicazione del cuore.
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