Povera gente

È particolare l’emozione che ci guida quando ci si accinge a leggere "Povera gente" di Dostoevskij perché tutto, in quest’opera, accade per la prima volta: la prima scala pietroburghese, sporca e cadente, la prima fanciulla umiliata e offesa, il primo sognatore innamorato e disilluso dalla vita, il primo sordido individuo pronto a sottrarre l’innocenza a chi gli sta attorno. Dostoevskij non aveva infatti mai scritto nulla in precedenza, e questo esordio è considerato uno dei più clamorosi della storia della letteratura mondiale. Il principale critico del tempo, Vissarion Belinskij, si entusiasmò al punto di parlare della comparsa dell’erede diretto di Puškin e Gogol’, e per il ventiquattrenne Dostoevskij si spalancarono, anche se per breve tempo, le porte della fama. Povera gente è un romanzo epistolare che si svolge nell’arco di quasi sei mesi e che unisce nello scambio di lettere un modesto funzionario di mezza età e una graziosa fanciulla, orfana e senza protezione: povera gente, appunto, in una miserabile Pietroburgo, senza speranze o vie d’uscita, dove l’insulto e l’umiliazione sono parte integrante della vita quotidiana. Ma al realismo sociale, “naturale”, all’epoca così di moda, Dostoevskij fin da questa sua prima opera sovrappone il “suo” realismo, fatto di personaggi con voci e intonazioni proprie, comincia a sperimentare le tecniche della scrittura che lo porteranno a rivoluzionare il romanzo dell’Ottocento, racconta al suo lettore delle difficoltà e del tormento di essere scrittore. Il piccolo funzionario Makar Devuškin diventa così il primo dei personaggi sognatori/filosofi/scrittori dell’universo dostoevskiano: dopo di lui ci sarà il sognatore delle "Notti bianche" e poi, dopo la prigione e l’esilio, i grandi personaggi della produzione matura.

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