Io, Hitchcock: Il maestro del brivido si racconta
- Autore
- Alfred Hitchcock
- Editore
- Donzelli Editore
- Pubblicazione
- 30/06/2016
- Categorie
«I brividi fanno scorrere più velocemente il sangue nelle vene e hanno effetti benefici per chi ha problemi di indigestione, gotta, reumatismi, sciatica e invecchiamento precoce. Il pubblico prospera grazie ai brividi, i registi prosperano grazie al cinema e tutti sono felici». Pare non si prenda troppo sul serio, il maestro del brivido, che in queste pagine di interviste, discorsi, saggi, gioca non solo con gli attori, con le storie e con il pubblico, com’è suo solito, ma anche e soprattutto con se stesso e il proprio personaggio. Gli aneddoti si rincorrono, gli episodi comici si inseguono, ma è meglio non farsi ingannare dalla leggerezza e dal sorriso sornione di Hitchcock: se la scrittura è lieve e brillante, il regista ama intensamente il proprio mondo e vuole che il suo pubblico vi entri appieno, consapevole di tutte le tecniche, i saperi, le logiche, le fatiche, le passioni, di tutti quei segreti che qui Hitchcock svela al suo pubblico, raccomandandosi di averne cura: «Penso di aver rivelato tutti i trucchi del mestiere», dirà. «Trattateli con rispetto».
Tra i primi registi a diventare una star, Hitchcock si diverte a giocare con la sua immagine, come fa quando appare nei suoi film: la sua è una presenza muta, ma inconfondibile. Con questi scritti, sapientemente raccolti da Sidney Gottlieb, Hitch finalmente esce dall’ombra e prende la parola, raccontandosi in prima persona, ripercorrendo la sua vita e la sua carriera e spiegandoci cos’è per lui il cinema. «Ricordare il passato è a volte divertente, a volte umiliante – scrive – e non è una cosa che amo fare. Ma è utile, aiuta a comprendere gli errori e a dare il giusto peso al proprio lavoro». Inizia così il racconto straordinario di una carriera che ha cambiato la storia del cinema. E il cinema per Hitchcock è essenzialmente suspense, è il «pubblico sull’orlo della poltrona», è la paura che desideriamo provare quando siamo al sicuro. Per non diventare inerti e «simili a molluschi», abbiamo bisogno di brividi, «scosse mentali positive e salutari», e lo schermo è il modo migliore per farlo. Gli ingredienti per servire una suspense cotta a puntino sono pochi, basta saperli dosare: «Io non cerco di portare sullo schermo un “pezzo di vita” – osserva – perché la gente può trovare tutti i pezzi di vita che desidera sul marciapiede di fronte al cinema e non deve neanche pagare per vederli». Ma nemmeno la fantasia pura va bene, «perché la gente vuole entrare in relazione con quello che vede sullo schermo». Quale allora la ricetta? Cercare di essere più autentici e naturali possibile, creare l’effetto realtà. E la realtà è fatta di luci e ombre, di contrasti: tra il pubblico che sa tutto e i personaggi ignari del pericolo che incombe su di loro; tra un paesaggio bucolico e gli oscuri segreti che vi si nascondono; tra l’aspetto elegante di un personaggio e la sua natura malvagia; la suspense è dramma e commedia insieme, proprio come nella vita di ogni giorno. Contrasti di cui si nutre il cinema, che è arte, e quindi tecnica, mestiere, capacità di fare, e allo stesso tempo industria; ma se Hitchcock allo studio system si adatta, riesce anche a piegare il sistema alle sue esigenze, abile com’è, ad esempio, a maneggiare le star a suo piacimento, spogliandole del glamour che le riveste. In fondo, la sola e unica star è il regista, che ha l’intero film in pugno, che possiede, monarca assoluto, il pieno dominio sul suo regno. L’unico rischio è prendersi troppo sul serio, ma per questo il rimedio è semplice: «La sola cosa da fare è concentrarsi sul film al quale si sta lavorando e dire a se stessi che, in fondo, si tratta solo di un film».
Tra i primi registi a diventare una star, Hitchcock si diverte a giocare con la sua immagine, come fa quando appare nei suoi film: la sua è una presenza muta, ma inconfondibile. Con questi scritti, sapientemente raccolti da Sidney Gottlieb, Hitch finalmente esce dall’ombra e prende la parola, raccontandosi in prima persona, ripercorrendo la sua vita e la sua carriera e spiegandoci cos’è per lui il cinema. «Ricordare il passato è a volte divertente, a volte umiliante – scrive – e non è una cosa che amo fare. Ma è utile, aiuta a comprendere gli errori e a dare il giusto peso al proprio lavoro». Inizia così il racconto straordinario di una carriera che ha cambiato la storia del cinema. E il cinema per Hitchcock è essenzialmente suspense, è il «pubblico sull’orlo della poltrona», è la paura che desideriamo provare quando siamo al sicuro. Per non diventare inerti e «simili a molluschi», abbiamo bisogno di brividi, «scosse mentali positive e salutari», e lo schermo è il modo migliore per farlo. Gli ingredienti per servire una suspense cotta a puntino sono pochi, basta saperli dosare: «Io non cerco di portare sullo schermo un “pezzo di vita” – osserva – perché la gente può trovare tutti i pezzi di vita che desidera sul marciapiede di fronte al cinema e non deve neanche pagare per vederli». Ma nemmeno la fantasia pura va bene, «perché la gente vuole entrare in relazione con quello che vede sullo schermo». Quale allora la ricetta? Cercare di essere più autentici e naturali possibile, creare l’effetto realtà. E la realtà è fatta di luci e ombre, di contrasti: tra il pubblico che sa tutto e i personaggi ignari del pericolo che incombe su di loro; tra un paesaggio bucolico e gli oscuri segreti che vi si nascondono; tra l’aspetto elegante di un personaggio e la sua natura malvagia; la suspense è dramma e commedia insieme, proprio come nella vita di ogni giorno. Contrasti di cui si nutre il cinema, che è arte, e quindi tecnica, mestiere, capacità di fare, e allo stesso tempo industria; ma se Hitchcock allo studio system si adatta, riesce anche a piegare il sistema alle sue esigenze, abile com’è, ad esempio, a maneggiare le star a suo piacimento, spogliandole del glamour che le riveste. In fondo, la sola e unica star è il regista, che ha l’intero film in pugno, che possiede, monarca assoluto, il pieno dominio sul suo regno. L’unico rischio è prendersi troppo sul serio, ma per questo il rimedio è semplice: «La sola cosa da fare è concentrarsi sul film al quale si sta lavorando e dire a se stessi che, in fondo, si tratta solo di un film».
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