Stanze di famiglia
- Autore
- Furio Bordon
- Editore
- Garzanti
- Pubblicazione
- 03/11/2016
- Categorie
«Un'opera di acre bellezza, alla quale in nessun modo è possibile rimanere insensibili.»
El País
«Nessun sentimentalismo, ma solo la verità del quotidiano.»
Le Monde
«Un intelligentissimo connubio tra ironia ed emozione.»
Le Soir
«Ci sono cose laceranti e c'è il coraggio della delicatezza.»
la Repubblica
«Memorabile. Di una sincerità terribile e commovente.»
El Mundo
Vicende familiari, certo, ma che ruotano soprattutto intorno al nodo emozionale di vecchiaia e infanzia, le due età della debolezza, gli anni in cui l’individuo è più vulnerabile, più esposto a prevaricazioni, violenze, umiliazioni, in cui la fortuna di essere nati diventa troppo spesso fatica di vivere e amarezza. Ed è combattendo l’amarezza con l’ironia dell’intelligenza che un vecchio professore di lettere, in attesa che il figlio torni dall’ufficio per accompagnarlo in una casa di riposo, conversa con la moglie morta. È un dialogo al tempo stesso amoroso e conflittuale. Come commossa e crudele sarà l’ultima discussione con il figlio. Ritroveremo il vecchio anni dopo, rintanato come ogni pomeriggio nella soffitta della «Villa», intento a sfogliare un vecchio album di fotografie e a esercitare la sua ironia confidandosi con una piantina di basilico e una sedia vuota. A confrontarsi invece con il padre morto è Anna, una psicoterapeuta infantile, nella notte in cui viene a sapere della fuga da casa di un suo assistito, un ragazzo violato da un’infanzia di indifferenza e disamore. Comparirà anche lui, in questa notte, e costringerà Anna a un impietoso, feroce bilancio del proprio vissuto, dominato da quel padre attore famoso e geniale, del cui fascino lei è sempre stata adoratrice e vittima. Nella terza e ultima stanza, un figlio stanco ed esasperato è alle prese con la grottesca demenza della vecchia madre. Ma sarà quella stessa madre, giovane e presente nel ricordo – come giovane e presente è anche il padre scomparso da anni – a suggerirgli in un momento di lucida dolcezza: «Capirai alla fine che con quella povera testa delirante e confusa se n’è andato un mondo...». Nella struttura di questo libro dunque diventano personaggi, agiscono e parlano tra loro i vivi, i morti e i ricordi. Ma anche i rimorsi e i desideri. A che mondo appartiene questo convegno fantasmatico in tre stanze? Semplicemente al mondo della letteratura, luogo sospeso tra cielo e terra, nel quale, come ci insegna Amleto, «esistono più cose di quante la tua filosofia conosca».
El País
«Nessun sentimentalismo, ma solo la verità del quotidiano.»
Le Monde
«Un intelligentissimo connubio tra ironia ed emozione.»
Le Soir
«Ci sono cose laceranti e c'è il coraggio della delicatezza.»
la Repubblica
«Memorabile. Di una sincerità terribile e commovente.»
El Mundo
Vicende familiari, certo, ma che ruotano soprattutto intorno al nodo emozionale di vecchiaia e infanzia, le due età della debolezza, gli anni in cui l’individuo è più vulnerabile, più esposto a prevaricazioni, violenze, umiliazioni, in cui la fortuna di essere nati diventa troppo spesso fatica di vivere e amarezza. Ed è combattendo l’amarezza con l’ironia dell’intelligenza che un vecchio professore di lettere, in attesa che il figlio torni dall’ufficio per accompagnarlo in una casa di riposo, conversa con la moglie morta. È un dialogo al tempo stesso amoroso e conflittuale. Come commossa e crudele sarà l’ultima discussione con il figlio. Ritroveremo il vecchio anni dopo, rintanato come ogni pomeriggio nella soffitta della «Villa», intento a sfogliare un vecchio album di fotografie e a esercitare la sua ironia confidandosi con una piantina di basilico e una sedia vuota. A confrontarsi invece con il padre morto è Anna, una psicoterapeuta infantile, nella notte in cui viene a sapere della fuga da casa di un suo assistito, un ragazzo violato da un’infanzia di indifferenza e disamore. Comparirà anche lui, in questa notte, e costringerà Anna a un impietoso, feroce bilancio del proprio vissuto, dominato da quel padre attore famoso e geniale, del cui fascino lei è sempre stata adoratrice e vittima. Nella terza e ultima stanza, un figlio stanco ed esasperato è alle prese con la grottesca demenza della vecchia madre. Ma sarà quella stessa madre, giovane e presente nel ricordo – come giovane e presente è anche il padre scomparso da anni – a suggerirgli in un momento di lucida dolcezza: «Capirai alla fine che con quella povera testa delirante e confusa se n’è andato un mondo...». Nella struttura di questo libro dunque diventano personaggi, agiscono e parlano tra loro i vivi, i morti e i ricordi. Ma anche i rimorsi e i desideri. A che mondo appartiene questo convegno fantasmatico in tre stanze? Semplicemente al mondo della letteratura, luogo sospeso tra cielo e terra, nel quale, come ci insegna Amleto, «esistono più cose di quante la tua filosofia conosca».
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