Le Piogge del Cònelant
- Autore
- Alessio Niccolai
- Pubblicazione
- 04/10/2016
- Categorie
«Le Piogge del Cònelant» è il primo libro di una tetralogia di genere fantasy partorita dal genio creativo del M° Alessio Niccolai, musicista-compositore e - a questo punto - anche autore letterario.
Un’oscurità dilagante e capace di travalicare i confini di un inedito spazio-tempo, si impadronisce dell’immaginario di un mondo - quello appunto del Cònelant - già imperiosamente punteggiato della sua connaturata follia.
Attraverso una pangea capace di trasfigurare i luoghi più cari all’autore (buona parte della sua Toscana Occidentale, l’intera Occitania francese, di Ladinia, del Cuzco peruviano, di Irlanda, Scozia, Grecia e vari altri luoghi assemblati fra loro come tessere rimescolate di uno strano mosaico) e calarli in un redivivo Medioevo, le vicende di alcuni personaggi si intrecciano fra loro per costituire quelle di consorterie più grandi e determinare l’esito complessivo del mondo che rappresenta.
Ed il rapporto fra la storia dei viventi e la loro capacità di modificarla, di imprimerle un certo corso piuttosto che un altro - magari fatalmente predeterminato - è al centro di una narrazione equivocamente duale, enigmaticamente protesa a pontificare intorno ai più consolidati paradigmi del fantasy, lasciando tuttavia il lettore nel dubbio sulla reale adesione del romanzo ad essi.
Teoria del Caos, sillogismi dell’assurdo, poesia neo-classica, distorsione onirica si stagliano sullo sfondo di un intreccio di vicissitudini - a loro volta tessere di un mosaico più grande - che i personaggi avvertono giocate intorno alla contrapposizione fra bene e male, ma che in realtà sembrano nascondere intenzionalmente livelli assai meno sovrannaturali di quanto non lascino intendere.
Un romanzo - come lo stesso autore tiene a sottolineare - concepito per costituire i presupposti spazio-temporali di un ciclo già costituito nella sua testa e già progettato come tetralogia: una narrazione - potremmo efficacemente dire - storico-geografica, in una singolare scelta stilistica nel delicato compito di indurre il lettore - attraverso la canonica caduta del principio di realtà tipico del genere - a riversare la propria esistenza tra i meandri di questo mondo, omogeneamente distribuito fra la superficie “terrestre”, le sue cavità endogee ed il suo sovrastante etere.
Vi si mischiano insieme immaginari totalmente eterogenei tra di loro, dalle leggende locali del Sud della Francia all’oltretomba celtico (il leggendario «Tír na nÓg»), dall’epica norrena alla mitologia greca, dall’epopea templare alle vicende cataro-albigesi, dalle segrete tradizioni gitane all’irruente quintessenza piratesca seguendo immancabilmente lo schema dell’allegoria - in particolare toponomastica -, fino alla battaglia finale (non l’«Armageddon» della costituenda saga, prevedibilmente collocabile nei paraggi della città che l’autore rappresenta come la sua Pisa) ordita, manco a dirlo, presso la fedelissima trasfigurazione di Carcassonne, località crocevia fra cultori del fantasy, appassionati di storia, irredenti occultisti, ricercatori insaziabili e inguaribili appassionati di mistero.
La fitta trama di “regole di ingaggio” nascosta tra le righe della narrazione, ha indotto l’autore a sperimentare con successo un intrigante e avvincente gioco di ruolo estemporaneo, basato proprio sulla saga del Cònelant.
La personalità letteraria del romanzo, che tradisce sicuramente la lettura di tanti capisaldi del genere fantasy - da J.R.R. Tolkien a H.P. Lovecraft, da G.R.R. Martin a T. Brooks - non si risparmia neanche orientamenti e suggestioni come quelle del Nome della Rosa di U. Eco, lo zelo investigativo di Sherlock Holmes di A.C. Doyle, l’ammirazione per le variopinte tradizioni gitane, nativo-americane e tuareg, un’impenitente omogeneità con le vicissitudini di Dylan Dog di T. Sclavi e una passione viscerale per la parabola freudiana.
Un’oscurità dilagante e capace di travalicare i confini di un inedito spazio-tempo, si impadronisce dell’immaginario di un mondo - quello appunto del Cònelant - già imperiosamente punteggiato della sua connaturata follia.
Attraverso una pangea capace di trasfigurare i luoghi più cari all’autore (buona parte della sua Toscana Occidentale, l’intera Occitania francese, di Ladinia, del Cuzco peruviano, di Irlanda, Scozia, Grecia e vari altri luoghi assemblati fra loro come tessere rimescolate di uno strano mosaico) e calarli in un redivivo Medioevo, le vicende di alcuni personaggi si intrecciano fra loro per costituire quelle di consorterie più grandi e determinare l’esito complessivo del mondo che rappresenta.
Ed il rapporto fra la storia dei viventi e la loro capacità di modificarla, di imprimerle un certo corso piuttosto che un altro - magari fatalmente predeterminato - è al centro di una narrazione equivocamente duale, enigmaticamente protesa a pontificare intorno ai più consolidati paradigmi del fantasy, lasciando tuttavia il lettore nel dubbio sulla reale adesione del romanzo ad essi.
Teoria del Caos, sillogismi dell’assurdo, poesia neo-classica, distorsione onirica si stagliano sullo sfondo di un intreccio di vicissitudini - a loro volta tessere di un mosaico più grande - che i personaggi avvertono giocate intorno alla contrapposizione fra bene e male, ma che in realtà sembrano nascondere intenzionalmente livelli assai meno sovrannaturali di quanto non lascino intendere.
Un romanzo - come lo stesso autore tiene a sottolineare - concepito per costituire i presupposti spazio-temporali di un ciclo già costituito nella sua testa e già progettato come tetralogia: una narrazione - potremmo efficacemente dire - storico-geografica, in una singolare scelta stilistica nel delicato compito di indurre il lettore - attraverso la canonica caduta del principio di realtà tipico del genere - a riversare la propria esistenza tra i meandri di questo mondo, omogeneamente distribuito fra la superficie “terrestre”, le sue cavità endogee ed il suo sovrastante etere.
Vi si mischiano insieme immaginari totalmente eterogenei tra di loro, dalle leggende locali del Sud della Francia all’oltretomba celtico (il leggendario «Tír na nÓg»), dall’epica norrena alla mitologia greca, dall’epopea templare alle vicende cataro-albigesi, dalle segrete tradizioni gitane all’irruente quintessenza piratesca seguendo immancabilmente lo schema dell’allegoria - in particolare toponomastica -, fino alla battaglia finale (non l’«Armageddon» della costituenda saga, prevedibilmente collocabile nei paraggi della città che l’autore rappresenta come la sua Pisa) ordita, manco a dirlo, presso la fedelissima trasfigurazione di Carcassonne, località crocevia fra cultori del fantasy, appassionati di storia, irredenti occultisti, ricercatori insaziabili e inguaribili appassionati di mistero.
La fitta trama di “regole di ingaggio” nascosta tra le righe della narrazione, ha indotto l’autore a sperimentare con successo un intrigante e avvincente gioco di ruolo estemporaneo, basato proprio sulla saga del Cònelant.
La personalità letteraria del romanzo, che tradisce sicuramente la lettura di tanti capisaldi del genere fantasy - da J.R.R. Tolkien a H.P. Lovecraft, da G.R.R. Martin a T. Brooks - non si risparmia neanche orientamenti e suggestioni come quelle del Nome della Rosa di U. Eco, lo zelo investigativo di Sherlock Holmes di A.C. Doyle, l’ammirazione per le variopinte tradizioni gitane, nativo-americane e tuareg, un’impenitente omogeneità con le vicissitudini di Dylan Dog di T. Sclavi e una passione viscerale per la parabola freudiana.
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