omicidio in un paese di cacciatori

Un fatto di cronaca che sconvolge la vita di un piccolo paese del Meridione nel settembre del 1951: l’omicidio del giovane Mimì Ferrara, un fatto di sangue inspiegabile che coinvolge tutti gli abitanti. Un evento che rompe quel clima immobile del “paese sereno” di joviniana memoria.

La scansione del racconto è concentrata nell’arco di una settimana; ogni capitolo occupa un giorno e porta in epigrafe un pensiero di Frate Indovino, il calendario popolare spesso unica presenza di una cultura scritta nelle case contadine fino agli anni Cinquanta, referente simbolico di un tempo ciclico, immobile, senza sviluppo, che entra nel vissuto popolare quotidiano tanto che frasi idiomatiche e pensieri di Frate Indovino si trovano sparsi anche nei dialoghi.

La tecnica del giallo sfuma dalla cronaca al racconto corale psicologico. Ma è anche distante da un romanzo giallo psicologico di ambientazione meridionale come "Il segreto di Luca" di Ignazio Silone, tutto calato all’interno del dramma e della macerazione interiore del protagonista.

Tutta la comunità resta coinvolta nella vicenda, un evento che interrompe lo scorrere sempre uguale della vita, tanto che essa è ora come bloccata nella fissità dell’evento; la vita del paese si è come fermata in attesa dello scioglimento della vicenda con la scoperta del colpevole. Efficace è la scrittura di Corsi nel rappresentare questo climax in cui la tecnica del giallo è piegata a ricostruire la partecipazione corale della comunità al fatto delittuoso, nel quale ognuno può essere coinvolto non essendovi indizi certi. E sarà la comunità stessa a farsi carico dello scioglimento della vicenda attraverso la testimonianza di chi, uscendo da un comportamento omertoso e riaffermando i valori di solidarietà,. porrà fine ad un meccanismo infernale di coinvolgimento.

Come si conviene ad un romanzo realistico, estremamente precisa e dettagliata è la topografia dei luoghi: il paese e il suo territorio, su cui scorre la vita di sempre, i vicoli attraversati e riattraversati mille volte; un lento fluire dei giorni increspato dall’inspiegabile evento delittuoso. Come su un palcoscenico si alternano i tanti volti del paese: a cominciare da Giovannino Corsi, che occupa la scena più degli altri perché il destino ha voluto che quella sera si trovasse sul luogo del delitto; toccherà a lui, dopo una sofferta crisi, farsi carico dello scioglimento della vicenda. E poi tanti altri: nonno Titto Corsi con la sua pipa mentre ripensa ai suoi tanti viaggi transoceanici di emigrante, scisso tra il sole della “speranza” e quello del “cuore”; Pietro e Filomena, due giovani, di cui il destino avverso ha ingigantito l’affetto reciproco e il desiderio di protezione, mentre il padre, con una scheggia di granata in testa regalatagli sulle montagne della prima guerra mondiale, cammina tutto il giorno lungo le strade del paese per non impazzire e non essere di peso ai figli. E poi ancora altre figure con i loro segreti non segreti come quelli di Carmela e degli uomini che frequentano la sua casa; o i segreti con il loro carico di dolore trattenuto, come quelli che si rivelano nel colloquio tra l’appuntato dei carabinieri e il fratello dell’omicida.

La forma del dialogo è elemento portante della struttura del romanzo, in sintonia con la dialogicità del racconto orale e con la coralità e teatralità del dispiegarsi della narrazione. Diffuso è l’uso del lessico dialettale, soprattutto in certe espressioni popolari, motti, locuzioni idiomatiche, interiezioni, appellativi, vocativi, nomi, soprannomi o in espressioni che tradiscono rovelli interiori; insomma il lessico dialettale scatta nei momenti di una comunicazione e dialogicità più immediata, familiare o comunitaria.























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