Fabro. Melodia dei Monti Pallidi

"Il mio nome è Fabro e di mio padre so solamente che era maniscalco e che non aveva un filo di fantasia." Così si apre l'epopea di Fabro, uomo semplice e forte, capace di rialzarsi e ricominciare nonostante i colpi che la vita non risparmia.

Fabro nasce in una stalla ai piedi delle montagne un mattino di novembre del 1925, scaldato dal fieno e dal respiro di quattro mucche, perché "ci sono cose che, se sei povero, non cambiano mai". La sua infanzia trascorre serena tra i boschi e i picchi delle Dolomiti e alla scuola elementare incontra Rina, una bambina timida con un sorriso che solo lui sa accendere, un sorriso capace di scaldare gli inverni più freddi.

La vita va avanti, dà e toglie, generosa e spietata, finché Fabro scopre la musica.

Se ne stava nascosta in un vecchio armonium, nella chiesa di Tai di Cadore. La melodia che esce vibrando dallo strumento è il respiro del bosco, il vento che accarezza i rami, e lo pervade d'incanto.

Poi arriva la guerra e Fabro deve lasciare casa per andare in bottega a Cibiana, il mitico paese delle chiavi. Qui viene iniziato ai segreti di un mestiere antico e affascinante. La musica però non smette di aspettarlo. C'è un organo nella chiesa del paese che il parroco suona durante la messa. Una sera Fabro si siede sullo sgabello, guarda fuori dalla finestra e inizia a suonare, sono le sue montagne a suggerirgli la melodia, lui solamente le ascolta e le copia...

Sarà la musica a fargli incontrare di nuovo Rina – l'amore, quello vero – e a regalargli il periodo più felice della sua vita, fino a quando, un giorno scuro, quella musica che dall'anima corre fino alle dita e ai tasti bianchi e neri, imitando la vertigine della montagna, rimarrà in trappola.

Ancora una volta sarà l'amore a liberarla e a salvare lui e la sua famiglia.

La vita e le alterne fortune di Fabro, in un mondo arcaico che sopravvive nei ricordi degli avi, raccontate da Francesco Vidotto con voce tenera, ironica e malinconica.

Guardai fuori: il vento si era rinforzato e tutto quanto il bosco cantava.

Gli alberi, alti e robusti, si piegavano e ritornavano diritti in una danza sempre uguale e scuotevano i rami nell'aria e le melodie erano infinite. Le Dolomiti invece, subito dietro, stavano immobili.

La roccia era ferma.

I pinnacoli bucavano il cielo diritti e di pietra, come gigantesche canne d'organo e le gole acceleravano l'aria che ci sbatteva contro e precipitava giù e suonava anche lei.

Lì seduto, in quella sera di tristezza infinita, riuscii ad ascoltare la voce della montagna.

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“Fabro” di Francesco VidottoRecensioniLibri.org

Ecco, forse “Fabro” rappresenta, come ricordavo all’inizio, un momento di sintesi della capacità creativa e letteraria di Vidotto: il mondo raccontato nelle opere precedenti, in quest’opera ritorna prepotentemente anche se forse in modo meno intenso ed evocativo rispetto ai primi lavori. Pertanto questo libro, dal linguaggio diretto e coinvolgente, è anche una tappa importante per la vita letteraria di Vidotto, da cui sicuramente dovrà partire verso nuove storie per regalarci ancora belle emozioni. Leggi tutta la recensione

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