Un tuffo nel passato
- Autore
- Carmelo Luparello
- Pubblicazione
- 05/01/2017
- Categorie
La storia della società di Grotte, paese dell'entroterra siciliano, negli anni del secondo dopoguerra, filtrata dai ricordi dell'Autore e descritta sullo sfondo nebuloso - ma che carsicamente riaffiora in diverse pagine del libro - dei conflitti tra i (pochi) ricchi e i (tanti) poveri, tra i (pochi) potenti e i (tanti) umili: da un lato i commercianti più benestanti, senza blasoni nobiliari ma con un cappello buono sulla testa, che si arrogano il diritto al “don”, oggetto di trasmissione ereditaria; dall'altro gli umili, che lottano ogni giorno, con le mani sporche di terra ma con grande dignità, per un pezzo di pane da mangiare, la sera, con un bicchiere di vino al posto del companatico che non c'è; da una parte l'arciprete - interessato più agli affari che all'apostolato – che minaccia il fuoco eterno ai comunisti e briga per far negare la pensione agli “infedeli”; dall'altra il sempliciotto del paese che sventa la manovra di rialzo del prezzo della pasta ordita dai negozianti, che avevano nascosto fraudolentemente le provviste per simularne la penuria.
Ma c'è spazio anche per i piccoli conflitti tra poveri, ognuno dei quali si contende la sopravvivenza: i bar denunciano il bottegaio che, senza averne la licenza, fa il caffè che è il più buono di tutti e si accaparra i clienti, mentre il ladro, che si appropria del ferro della stazione col favore delle tenebre, calunnia anonimamente persone innocenti per sviare l'attenzione da sé.
E poi i drammi e le speranze dell'emigrazione, indotta dalle prime, minacciose avanzate dell'industrializzazione, che rende meno appetibile il pane impastato a mano, così come le scarpe fatte dal calzolaio.
E, infine, le piccole debolezze umane, condite di grande tenerezza e comprensione: l'Autore, bambino, corre con il cuore in gola ad avvisare il papà, calzolaio, di chiudere subito la putìa, ché c'è la Finanza in giro; il giovane malaticcio, che non ha potuto seguire la famiglia emigrata, perché non ha superato la visita per l'espatrio, viene accolto in casa da un anziano maresciallo, al quale rende i suoi servigi, e finalmente trova una donna, la moglie del militare, a cui dire “mamma”. E nessuno si stupisce se la putìa chiude la porta per sottrarsi al controllo della Finanza o se il maresciallo non versa i contributi al giovane abbandonato, che si mette in casa e che gli fa piccoli lavori: il calzolaio non sarebbe sopravvissuto ad una multa salata, e il giovane, se fosse stato regolarmente ingaggiato, non avrebbe più potuto chiamare “mamma” la moglie del maresciallo, ma solo “padrona”.
Il retrogusto che lascia la lettura è impregnato di tanta tenerezza mista ad una certa delicatezza: il ricordo dei maggiorenti del paese è fuligginoso, coperto ad un alone in cui le tinte dell'insulso si mescolano a quelle del ridicolo, mentre è vivida la rievocazione degli umili, grandi nelle loro miserie, forti nelle loro debolezze, incarnazione dei valori più autentici del paese.
Ma c'è spazio anche per i piccoli conflitti tra poveri, ognuno dei quali si contende la sopravvivenza: i bar denunciano il bottegaio che, senza averne la licenza, fa il caffè che è il più buono di tutti e si accaparra i clienti, mentre il ladro, che si appropria del ferro della stazione col favore delle tenebre, calunnia anonimamente persone innocenti per sviare l'attenzione da sé.
E poi i drammi e le speranze dell'emigrazione, indotta dalle prime, minacciose avanzate dell'industrializzazione, che rende meno appetibile il pane impastato a mano, così come le scarpe fatte dal calzolaio.
E, infine, le piccole debolezze umane, condite di grande tenerezza e comprensione: l'Autore, bambino, corre con il cuore in gola ad avvisare il papà, calzolaio, di chiudere subito la putìa, ché c'è la Finanza in giro; il giovane malaticcio, che non ha potuto seguire la famiglia emigrata, perché non ha superato la visita per l'espatrio, viene accolto in casa da un anziano maresciallo, al quale rende i suoi servigi, e finalmente trova una donna, la moglie del militare, a cui dire “mamma”. E nessuno si stupisce se la putìa chiude la porta per sottrarsi al controllo della Finanza o se il maresciallo non versa i contributi al giovane abbandonato, che si mette in casa e che gli fa piccoli lavori: il calzolaio non sarebbe sopravvissuto ad una multa salata, e il giovane, se fosse stato regolarmente ingaggiato, non avrebbe più potuto chiamare “mamma” la moglie del maresciallo, ma solo “padrona”.
Il retrogusto che lascia la lettura è impregnato di tanta tenerezza mista ad una certa delicatezza: il ricordo dei maggiorenti del paese è fuligginoso, coperto ad un alone in cui le tinte dell'insulso si mescolano a quelle del ridicolo, mentre è vivida la rievocazione degli umili, grandi nelle loro miserie, forti nelle loro debolezze, incarnazione dei valori più autentici del paese.
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