La finta cieca: e altri racconti

«Esther Kreitman Singer era la maggiore dei tre fratelli Singer: per età, e forse anche per la qualità della prosa. »
L’Espresso - Wlodek Goldkorn

«Ha scritto pagine colme di un’ironia dolente e non aveva meno talento dei fratelli, ma ha avuto meno fortuna. Con l’ebraismo cantato sia da Israel Joshua, che da Isaac Bashevis, Esther Kreitman Singer ha cercato di fare i conti. Con dolorosa chiarezza. »
ttL - la Stampa - Ada Treves

«Il bel romanzo di Esther Kreitman, guidato da una delicata mano femminile, ci conduce da un villaggio all’altro nel segno di una mesta rassegnazione per poi precipitare in un vero abisso.»
Corriere della Sera - Giorgio Montefoschi

«Esther Singer scrive un romanzo ambientato nello stesso universo morale e sociale frequentato dai libri dei fratelli ma da tutt’altra prospettiva: quella di uno sguardo critico, poco incline alla comprensione, per nulla a un’intima solidarietà, rovesciando la mitologia del “mondo perduto”. »
Il Sole 24 Ore - Elisabetta Rasy

Sono racconti che danno un’idea di quanti bellissimi romanzi avrebbe potuto scrivere l’autrice, se non fosse stata «sacrificata» prima da un’infanzia e una giovinezza passate a leggere di nascosto tra una faccenda domestica e l’altra, e poi da un matrimonio combinato da un padre indifferente e da una madre che la trovava «bruttissima». Sono tutti molto diversi l’uno dall’altro, per temi, stile, tono, dimensioni. E quasi tutti contengono lo spunto per un romanzo, probabilmente già nella mente della Kreitman mentre li scriveva.
La raccolta si apre con I racconti dello shtetl, e nel «Mondo nuovo» la piccola Esther non ancora nata parla al lettore dal grembo materno: «La prima volta che mi sentii infelice fu nel ventre di mia madre». Tutto un programma, quello dell’intera vita dell’autrice. Che prosegue a raccontare la propria nascita, da quando viene infilata in una cesta sotto il tavolo della cucina, a quando viene consegnata alla balia che se la terrà – dato biografico – per alcuni anni. Il tono della narrazione passa continuamente dal comico al patetico, rivelando una versatilità di scrittura almeno pari a quella dei suoi più famosi fratelli.
Il registro di «La finta cieca», che dà il titolo alla raccolta, passa invece agilmente dal comico al grottesco, e insiste proprio su cupezza e ambiguità, spiazzando il lettore, che si trova alle prese con il fantasma dell’incesto, della menzogna e del tradimento all’interno di un anomalo nucleo familiare ebraico trapiantato a Londra. Il racconto appartiene alla seconda parte del libro, che l’autrice sottotitola I racconti londinesi, e che è la più varia e originale perché racconta la difficoltà, spesso lo sfascio, di famiglie fortemente legate alla cultura e alla tradizione ebraica trapiantate in un paese straniero, per di più bersaglio dei blitz tedeschi.
Le storie di Esther Kreitman Singer si distinguono ancora una volta da quelle di I. J. Singer perché l’autrice sottolinea tristezza, frustrazione, ma anche piccoli trionfi, di donne che sono spesso protagoniste di quadri esilaranti.

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