Al di sopra dei pollini: Fiaba picaresca a luci rosse
- Autore
- Raffaello Bovo
- Pubblicazione
- 03/08/2017
- Categorie
Cosa significa “fiaba picaresca a luci rosse”?
Fiaba in quanto, per la prima volta nella trilogia, la vicenda si chiude con un lieto fine.
A luci rosse, tra virgolette, perché non ci si limita a sorvolare sui momenti di passione erotica, inserendoli, però, in un contesto di raffinata ed elegante sensualità e a nobilitarli con un linguaggio non offensivo per la morale corrente né per l’etica letteraria.
Picaresca, infine, in omaggio alla letteratura spagnola della fine del XVI secolo, perché i personaggi hanno quel tanto di sbandato e zingaresco, di scapestrato e un po’ folle che li accomuna alle tragicomiche avventure di Lazarillo de Tormes, perché anche loro non sono molto stabili, vivono come uccelli tra gli alberi e non hanno idea del loro futuro, ma hanno come imperativo quello di riuscire a proseguire i loro sogni, impedendo a loro stessi di destarsi e coltivandoli giorno per giorno.
Questa storia narra impressioni, emozioni, conoscenze, fantasie, desideri e riflessioni che costituiscono l’ordito e la trama della vita di certe persone che la vita sanno godere, accettandola per quello che è, e di altre che tendono ad ottenere di più, ma che non si lasciano distogliere dall’assaporare i gusti intensi che ogni giornata porta con sé.
Si è cercato di evitare che l’oblio calasse su Singapore, di dare una continuità al suo sangue e a quello di Clelia (cfr. “Nessuna terra al mondo e “Il Penduto e la Luna”) e di rendere onore alla memoria di tanti personaggi che l’autore ha realmente conosciuto nel corso della sua esistenza o dei quali ha sentito narrare storie e aneddoti.
In molti punti di questo romanzo l’autore si è calato nei panni del menestrello, del cantastorie, del bardo avendo come riferimento il soprannome che avevano dato i thaitiani a Stevenson. Tusitala, “il narratore” . Ha, inoltre, tentato di dare continuità ad uno dei personaggi principali delle sue storie: le Langhe.
Nella trilogia si va dalla severa austerità, che lasciava poco spazio al divertimento e alla gioia, di “Nessuna terra al mondo” attraverso la concitazione dell’immediato dopoguerra descritta ne “Il Penduto e la Luna”, all’allegria festosa di chi torna in terra di Langa, più o meno saltuariamente, dopo essersi trasferito altrove per motivi di studio o di lavoro. Ma che continua a sentirsene posseduto.
Ne “Al di sopra dei pollini” emerge un altro personaggio, sempre presente nelle righe dei due romanzi precedenti ma ancora mai delineato con evidenza: il Mare.
L’autore ha cercato, inoltre, di rendere omaggio al suo amore per il Latino e per i grandi autori della sua letteratura classica, nel tentativo di trasmetterlo ad altri e di far comprendere che non si tratta affatto di una lingua morta se non la si lascia morire. Spera di esserci riuscito.
Infine ha lasciato affiorare, tra le sue righe, il fascino che ha sempre esercitato su di lui la tradizione celtica.
Fiaba in quanto, per la prima volta nella trilogia, la vicenda si chiude con un lieto fine.
A luci rosse, tra virgolette, perché non ci si limita a sorvolare sui momenti di passione erotica, inserendoli, però, in un contesto di raffinata ed elegante sensualità e a nobilitarli con un linguaggio non offensivo per la morale corrente né per l’etica letteraria.
Picaresca, infine, in omaggio alla letteratura spagnola della fine del XVI secolo, perché i personaggi hanno quel tanto di sbandato e zingaresco, di scapestrato e un po’ folle che li accomuna alle tragicomiche avventure di Lazarillo de Tormes, perché anche loro non sono molto stabili, vivono come uccelli tra gli alberi e non hanno idea del loro futuro, ma hanno come imperativo quello di riuscire a proseguire i loro sogni, impedendo a loro stessi di destarsi e coltivandoli giorno per giorno.
Questa storia narra impressioni, emozioni, conoscenze, fantasie, desideri e riflessioni che costituiscono l’ordito e la trama della vita di certe persone che la vita sanno godere, accettandola per quello che è, e di altre che tendono ad ottenere di più, ma che non si lasciano distogliere dall’assaporare i gusti intensi che ogni giornata porta con sé.
Si è cercato di evitare che l’oblio calasse su Singapore, di dare una continuità al suo sangue e a quello di Clelia (cfr. “Nessuna terra al mondo e “Il Penduto e la Luna”) e di rendere onore alla memoria di tanti personaggi che l’autore ha realmente conosciuto nel corso della sua esistenza o dei quali ha sentito narrare storie e aneddoti.
In molti punti di questo romanzo l’autore si è calato nei panni del menestrello, del cantastorie, del bardo avendo come riferimento il soprannome che avevano dato i thaitiani a Stevenson. Tusitala, “il narratore” . Ha, inoltre, tentato di dare continuità ad uno dei personaggi principali delle sue storie: le Langhe.
Nella trilogia si va dalla severa austerità, che lasciava poco spazio al divertimento e alla gioia, di “Nessuna terra al mondo” attraverso la concitazione dell’immediato dopoguerra descritta ne “Il Penduto e la Luna”, all’allegria festosa di chi torna in terra di Langa, più o meno saltuariamente, dopo essersi trasferito altrove per motivi di studio o di lavoro. Ma che continua a sentirsene posseduto.
Ne “Al di sopra dei pollini” emerge un altro personaggio, sempre presente nelle righe dei due romanzi precedenti ma ancora mai delineato con evidenza: il Mare.
L’autore ha cercato, inoltre, di rendere omaggio al suo amore per il Latino e per i grandi autori della sua letteratura classica, nel tentativo di trasmetterlo ad altri e di far comprendere che non si tratta affatto di una lingua morta se non la si lascia morire. Spera di esserci riuscito.
Infine ha lasciato affiorare, tra le sue righe, il fascino che ha sempre esercitato su di lui la tradizione celtica.
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