Una confessione postuma

Unico erede di una ricca famiglia borghese, figlio di genitori anaffettivi, Termeer si convince, fin dagli anni dell’adolescenza, di essere inadeguato alla vita. Non desidera altro che una vita vuota. Al destarsi dei sensi gli approcci con le donne sono disastrosi. Sposa Anna, figlia del suo ex tutore, che accetta l’infelicità e il dovere coniugale. D’altro canto lo stesso Termeer vive il matrimonio come una trappola e alterna la seduzione della musica alla frequentazione tormentata dei postriboli. Anna gli rinfaccia di non avere né amici né di provare veri sentimenti: lo disprezza e lui lo sa. Quando resta incinta, trova nella figlia la compensazione alla grande delusione del matrimonio. Termeer non prova nulla, e scrive, rozzo e scabro: «Anna Partorì una figlia senza particolari problemi; la creatura visse poco più di un anno e mezzo».
In un rapporto basato sul reciproco odio, sulla disistima, sui silenzi devastanti, la morte improvvisa dell’unica figlia crea un’ulteriore frattura.
Anna, stordita dal dolore, cerca conforto nell’ex predicatore De Kantere che, spinto dalla donna, cerca di aiutare il marito di lei ma Termeer sa che è impossibile sottrarsi al proprio destino e si convince che la moglie abbia una relazione con De Kantere: vorrebbe divorziare, ma Anna si oppone. Termeer si consola con la venale Caroline, che pretende, nel corso della relazione, sempre più denaro. Una notte, Termeer trova la moglie addormentata, e decide di versare un’ulteriore dose di sonnifero nella bocca socchiusa della dormiente – e Anna muore. Omicidio o suicidio? O forse è Termeer, che ha preso su di sé la colpa della sua fine perché convinto che l’avrebbe voluta morta? Il romanzo si muove fino alla fine nell’ambiguità e nel mistero, rivelando progressivamente una intricatissima e oscura rete di nodi psicologi irrisolti – e forse a destinati a restare tali, per sempre.

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