CHIARI OSCURI DEL DOLORE (POESIA)

“Tra intimismo e senso corale, quando la Poesia diventa Arte”
Chiari oscuri del dolore e Poesie d'Amore di Vito Sorrenti.
H. Auden diceva “La lingua è quella grande puttana che devo fare diventare vergine”: oggi nella crescente sovrapproduzione di opere e operette, ritrovare quel senso di “Verginità” propria dell'arte, risulta arduo, se non impossibile. Non per Vito Sorrenti che con queste 2 produzioni si afferma emergendo dal “grande calderone letterario”, proprio con quel senso di “verginità compositiva”, fulcro necessario per trasformare l'opera poetica in arte, così come i nostri protoni e neutroni formano le molecole. Tale “verginità” è da ritrovare nell'Intimismo e nel senso corale, un “Intimismo” che si apre a ventaglio sulle metafore e sui “tropi”, punti, luoghi letterari di libertà del pensiero. Il tropo, molto spesso affidato all'iterazione, manifesta un senso di “spazialità compositiva” che sempre di più coincide con un senso di libertà espressiva, che non ha paragoni.
Il “tropo” nel suo apparire è essenzialmente “La cosa che agisce come nucleo problematico” manifestando un'inconciliabilità con il soggetto e il moderno, ricreando quella tensione espressa da G. Vattimo nel “Pensiero debole” (Feltrinelli) tra Universo molteplice e Soggetto – autore – interprete, “condizione necessaria perché non ci sia pensiero assoluto” (G.Vattimo op. cit.). Il compito è quello di “Spiazzare, stravolgere il contenuto con questo nucleo problematico”. Se si prende, per esempio, una poesia come “Armato d'astio” strutturata come un sonetto, con 2 quartine e 2 terzine a rima alternata, la prima quartina ha diversi “Luoghi letterari” di spazialità culturale “Armato d'astio e di furia funesta / volteggia Marte con ali di mostro / come gelido falco che si appresta / ad affondare il suo gelido rostro”.
La “Furia funesta” non ci riporta, solo, l'Omero dell'Iliade, ma una lunga tradizione letteraria collegata ad Esso, l'immagine di Marte richiama la cultura pagana e certe poesie barocche, mentre la parola “mostro “ ha forti attinenze con il mondo classico. La poesia non è solo una “spazialità” delle proprie emozioni e dei propri pensieri. Chi fa poesia fa anche cultura poiché trasmette una Sapienza Universale. Quindi possiamo dire che la poesia in Vito Sorrenti ha questi 2 caratteri il livello informativo (il messaggio etico trasmesso in tutta la sua produzione cioè la necessità di stare dalla parte dei “Derelitti”) e il livello formativo (la “Formatività” di una coscienza culturale e universale, necessaria per fare poesia e perché il “bello addormentato”, il lettore, si risvegli dal lungo letargo della “Spettacolarizzazione”, dall'ipnotismo di una Cultura vuota, da “Baraccone”) senza questo 2° livello la poesia non assolve il suo compito artistico.
Quanta produzione artistica, di oggi, ha perso il suo valore formativo, scendendo a compromessi con basse tematiche speculative volte solo ad informare e non a formare? H. Escher, il grande pittore olandese vissuto nella prima metà del Novecento, ha detto: “Non vi è arte senza scienza così come non vi è scienza senza arte”. Il poeta ha a che fare con un linguaggio che deve rendere artistico, per questo deve essere “tecnico”, avere uno schema, proprio perché l'Infinito in Natura, noi lo percepiamo attraverso una Forma, sarà la Forma del rimando, dell'Astratto Universale, o della “Spazialità Culturale espressa”. Già nell'ossimoro “Chiari oscuri del dolore” è presente il Pascoli, il Pascoli dei “Poemi cristiani” che oscillava tra “pax virgiliana” e “il dolore oraziano” il Pascoli che afferma “Mortalis amor, dolor immortalis” (da “Pomponia Grecina”, op. cit., ed. Lindau) e tutta la silloge ribadisce il senso universale del dolore, l'intimismo si allarga per diventare “specchio” che rifletta una collettività in declino, il senso canale si espande nelle forti metafore espressive, il pianto e gli stridori sono gli stessi espressi da Matteo nel Salmo VIII (12) “Ma ... SUSANNA PELIZZA

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