Non abbiamo bisogno di parole

La condizione di Viola, protagonista nel romanzo, è la stessa di Rhea, madre di Zeus, come conseguente moto dell’animo nel voler salvare suo figlio?
Di voler lavare seppur tardivamente, il senso di colpa che le è rimasto per non aver salvato sua madre dalle tenebre? Ella sa che non è più in tempo.
Ed ora, che diviene mamma, nonostante l’anoressia, sente lo sconforto più profondo. Da quel grembo strappato, ora sterile di madre, da cordone logorato dal tempo, la sensazione di aver partorito sua madre senza vita. Nel subconscio, Viola ha conosciuto bene sua madre, senza bisogno di parole, la sua presenza e il suo dolore nelle doglie, nell’ultima spinta, nei morsi uterini, nell’allattamento.
Tutto fa pensare ad una simbiosi tra madre e figlia che va oltre la morte e diviene come per mistero “corrispondenza di amorosi sensi”.
Viola è stata figlia della giovane donna eternamente bella, sottrattale ingiustamente da una mano assassina. Viola lo ha sempre saputo, ciò è causa della sua depressione. Ora, quel sangue, lo stesso di lei è riemerso a nuova vita. Nella piccola creatura, nella neo- vita, la grazia e l’agilità della neo nonna.
E l’intimo linguaggio tra le tre donne resterà forte, eterno e indissolubile.

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