La notte poco prima della foresta

Il monologo di Pierfrancesco Favino che ha commosso la platea del teatro Ariston di Sanremo (ed. 2018), è tratto da questo straordinario testo di B-Marie Koltès.
Essere stranieri. Abbordare un nuovo e giovane amico sotto la pioggia. Avere in cuore una ragazza notturna, un ectoplasma da lungofiume. Odiare gli specchi. Amare le puttane matte. Distinguere il “nervosismo” dei macrò usciti dritti dritti dalle gonne di mamma. Farsi un’idea di qualcuno solo se te lo scopi. E però poi filarsela, senza discorsi. Denunciare la divisione in zone di lavoro settimanale, in zone per le moto, o per rimorchiare, o per le donne, oper gli uomini, o per i froci, e avvilirsi per le zone della tristezza, della chiacchiera, del venerdì sera. L’intelaiatura de La notte poco prima della foresta è un paradigma straordinario, un testo fluentissimo e irto nella sua prosa vertiginosa, aliena da punteggiatura ferma, tutta pervasa di anacoluti e biasimi come un romanzo-pamphlet di Céline. I temi assoluti di questo autore prematuramente scomparso a quarant’anni affiorano in una comunicazione per voce solista, in un poema teatralissimo che senza più la diatriba simbolica di Nella solitudine dei campi di cotone sconta i problemi dell’identità, della moralità, dell’isolamento, dell’amore non facile.

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