Golden Hill

New York, novembre 1746. Quando Richard Smith sbarca a Manhattan proveniente da Londra, la città è ancora un piccolo e operoso porto coloniale (settemila abitanti contro i settecentomila della capitale inglese) dove circola ben poco contante e in alternativa alle monete vengono accettati come valuta persino strani foglietti di carta. Si può perciò immaginare la sorpresa del mercante Lovell quando si vede piombare in ufficio quello sconosciuto, con un documento che gli consente di esigere il pagamento dell'astronomica cifra di mille sterline. Ma chi è Smith? E perché si presenta volutamente come un personaggio misterioso e sfuggente, anche a costo di essere ritenuto un truffatore? E che cosa pensa di fare con quelle mille sterline? Circondato da curiosità e sospetti, Richard va alla scoperta dell'affascinante città, si lascia coinvolgere nella vita locale e anche nel corteggiamento della bella e cinica Tabitha, figlia maggiore di Lovell, preoccupata quanto il padre dalle ripercussioni negative che il pagamento potrebbe avere sulla ditta di famiglia. Fin dalle prime pagine è chiaro che Francis Spufford ammicca al romanzo inglese dell'epoca, ma con gli occhi di chi conosce la storia, letteraria e non, dei secoli a seguire. Un esempio: appena sbarcato, il protagonista ingenuo e distratto viene abilmente alleggerito del portafogli, una disavventura classica, ma poi incontrerà un personaggio che Fielding o Defoe avrebbero forse immaginato ma non raccontato in modo tanto esplicito.

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Una stoffa liscia e compattaIl Consigliere Letterario

Non c’è requie nel narrare di Francis Spufford; egli, che ama anche vestire i panni nel suo ambiguo eroe inglese Smith (chi è in realtà? Che cosa è venuto a fare in America? E perché ha con sé una lettera di cambio per un ammontare altissimo che nessuno è disposto a pagare, tanto più che a New York non circola praticamente denaro contante e ogni transazione si paga in merce, in assenza di prove documentali a sostegno delle sue pretese?) Leggi tutta la recensione

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