Le regole non valgono
“Negli ultimi mesi ho perso mio figlio, la mia compagna e la casa.” Il memoir di Ariel Levy comincia così, con la normalità che deflagra e poi si sgretola. Il punto di collasso è la perdita di un bambino, avvenuta alla diciannovesima settimana di gravidanza nella stanza di un albergo di Ulan Bator, in Mongolia.
Quando Ariel Levy torna a casa, la vita di prima – quella che ha programmaticamente costruito sulla libertà di autodeterminarsi, di fare della propria esistenza di donna tutto ciò che vuole, come lo vuole, contro le regole tradizionali – non esiste più. Al suo posto c’è solo un grumo di dolore e la consapevolezza difficile che l’unica a poter fare davvero ciò che vuole è madre natura: le sue sono le sole regole che valgono.
Riconoscerlo segna per Ariel Levy il passaggio a una nuova fase della vita adulta, una lezione per imparare ad apprezzare meglio ciò che si possiede: “Mentre tutto il resto si è disfatto, qualcosa è rimasto intero, qualcosa che ho sempre avuto e mi ha reso una scrittrice: la curiosità. La speranza”.
Quando Ariel Levy torna a casa, la vita di prima – quella che ha programmaticamente costruito sulla libertà di autodeterminarsi, di fare della propria esistenza di donna tutto ciò che vuole, come lo vuole, contro le regole tradizionali – non esiste più. Al suo posto c’è solo un grumo di dolore e la consapevolezza difficile che l’unica a poter fare davvero ciò che vuole è madre natura: le sue sono le sole regole che valgono.
Riconoscerlo segna per Ariel Levy il passaggio a una nuova fase della vita adulta, una lezione per imparare ad apprezzare meglio ciò che si possiede: “Mentre tutto il resto si è disfatto, qualcosa è rimasto intero, qualcosa che ho sempre avuto e mi ha reso una scrittrice: la curiosità. La speranza”.
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