In presenza di Schopenhauer

Non c’è dubbio che, lanciandosi nella stesura di questo testo significativamente intitolato In presenza di Schopenhauer, Michel Houellebecq abbia voluto condividere con i propri lettori questo incontro per lui così decisivo. La forza della rivelazione suscitata in lui da quella lettura, infatti, è innegabilmente legata allo shock procurato dal riconoscere un alter ego con il quale si capisce subito che sta per instaurarsi un’intesa duratura. Schopenhauer l’esperto di sofferenza, il pessimista radicale, il solitario misantropo, si rivela una lettura “confortante” per Houellebecq – in due ci si sente meno soli. Tanto da indurci a chiedere: Houellebecq era schopenhaueriano prima di leggere Schopenhauer, o è stata questa lettura a renderlo quello che conosciamo? Era già, fondamentalmente, “non riconciliato” (con il mondo, con gli uomini, con la vita) o Schopenhauer ha seminato i germi del conflitto? Houellebecq amava già i cani più del genere umano, o bisogna riconoscere, qui come altrove, l’influenza di Arthur?

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Mangialibri

In presenza di SchopenhauerMangialibri

Nei primi anni Ottanta del secolo scorso, il venticinquenne ‒ o al massimo ventisettenne ‒ Michel Houellebecq ha già alle spalle una vasta e approfondita conoscenza delle opere di Baudelaire, Dostoevskij, Lautréamont, Verlaine, di quelle di quasi tutti gli autori romantici, di molta fantascienza. Ha letto la Bibbia, i Pensieri di Pascal, Anni senza fine e La montagna Leggi tutta la recensione

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