LA CAPITANATA AL CREPUSCOLO DEL SETTECENTO: Le proposte "eversive" sulla Regia Dogana di Domenico Maria Cimaglia

Il testo descrive l’economia agricola e pastorale del Settecento nel Regno di Napoli, soggetta nel Tavoliere alla Regia Dogana di Foggia.
Domenico Maria Cimaglia, che Vito Masellis ricorda nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani, aveva acquisito i natali a Foggia nel momento stesso in cui l'intera famiglia vi si era trasferita da Vieste. Avrebbe compiuto gli studi di economia e diritto a Napoli, dove era stato introdotto dal fratello Natale Maria nei circoli culturali illuministici, formandosi nell'ambiente dei riformatori economici del tempo.
Nel 1766 succede al fratello Natale Maria nella carica di Avvocato dei poveri presso il tribunale della Dogana e svolge la professione a Foggia. Come avvocato dei poveri, difende i locatari più piccoli dei pascoli del Tavoliere dagli abusi e dai soprusi ai quali erano soliti soggiacere, diventando fine conoscitore e estimatore delle problematiche pastorali e agricole connesse all'antiquato regime fiscale legato all'istituto della Regia Dogana di Foggia.
Frequentando l'ambiente riformistico-intellettuale di Napoli, Domenico Cimaglia giunge alla conclusione che le carenze nello svolgimento delle attività agricole nel Tavoliere di Puglia e l'uso non appropriato della transumanza vanno affrontate in maniera decisa e radicale.
Pertanto espone nel 1783 un chiaro progetto di riforma nel testo “Ragionamento sull'economia… ”, proponendo l'abolizione dell'istituto della Regia Dogana e la "censuazione" dei demani del Tavoliere.
Non sarà il solo Masellis ad assegnare un ruolo determinante nell'abolizione del sistema doganale di Foggia al Cimaglia, infatti, Tommaso Nardella, in una nota del saggio dedicato a Giuseppe Poerio, affermerà che Cimaglia «sostenne l'urgenza di censuare le terre del Tavoliere che gran vantaggio economico avrebbero arrecato ad agricoltori ed allevatori trasformandoli da affittuari in proprietari» e, soprattutto, ancora più chiaramente e incisivamente del Masellis, parlerà di «un lungimirante progetto che poi avrebbero realizzato i Napoleonidi», proiettando in primo piano le tesi e le proposte di Domenico Cimaglia.
L'influenza politica, sociale, culturale del Cimaglia si può cogliere appieno ne "Il Giornale Patrio Villani", curato da Pasquale di Cicco.
Le leggi eversive del 1806 avrebbero decretato, nello stesso tempo, la fine di un Medioevo tardivamente arroccato al di fuori dai processi storici e la scomparsa del mondo feudale.
Una nuova classe, quella borghese, si sarebbe fatta avanti, acquisendo i vizi e consolidando nel tempo i privilegi che aveva osteggiato nel passato. I borghesi, che avevano mal sopportato la prepotenza baronale, da qui in poi avrebbero cominciato a non tollerare l'insolenza di quel miserabile mondo contadino e bracciantile reclamante diritti e migliori condizioni di vita.
E, come spesso accade, «fatta la legge, trovato l'inganno».
Potevano i grandi locatari abruzzesi, i nobili baroni di antica e consolidata tradizione feudale, i cardinali, i vescovi e gli abati dalle lussuose residenze sottostare tacitamente alla soppressione di privilegi e vizi secolarizzati?
Michele Eugenio Di Carlo, in questa ricerca, dopo aver ripercorso le tappe del feudalesimo sin dalla dominazione normanno-angioina e quelle, non meno importanti, dell'istituzione della Regia dogana delle pecore con Alfonso d'Aragona, mette in primo piano il serrato dibattito che, nell'ultimo ventennio del Settecento, ha visto animatamente e straordinariamente impegnato il mondo della cultura partenopea con le personalità a più elevato livello intellettuale del Regno: da Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri, Giuseppe Maria Galanti, Domenico Grimaldi, Francesco Longano, Giuseppe Palmieri, ai meno noti Domenico e Natale Maria Cimaglia, Antonio Silla, Vincenzo Patini, Luigi Targioni, Nicola Vivenzio, Giuseppe Rosati, Michelangelo Manicone, intellettuali riformisti della Napoli post-tanucciana, ispirati dalle idee più avanzate dell'Illuminismo.

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