La stupidità del male: Storie di uomini molto cattivi

Quando Hannah Arendt presentò La banalità del male fu vivacemente contestata e, soprattutto, gravemente fraintesa. Secondo Ermanno Bencivenga, la meditazione sul male oggi è attualissima: “Riflettiamo su quanto ogni giorno ciascuno di noi sia tentato dalla stupidità, dal rifiuto di pensare, dall’immersione senza riserve in un atteggiamento strumentale, empirico, e nel male che ne è la più ovvia, regolare conseguenza. O meglio, non limitiamoci a riflettere, ma proviamo ad agire le nostre riflessioni: a praticare il pensiero, il ragionamento corretto, il giudizio e anche la virtù e il bene per dimostrare nei fatti ciò di cui il Filosofo ci ha ammonito: è abile chi sa adattare i mezzi ai fini, ma è saggio solo chi, ragionando, sa scegliere i fini giusti”.

Il male non ha dignità intellettuale. Non ci sono teorie del male che siano paragonabili, per complessità, spessore e ricchezza di dettagli, alle teorie del bene. Non c’è una logica del male che determini fra eventi e atti malvagi relazioni e legami cogenti e persuasivi come quelli determinati dalle logiche del bene e dell’accadere. Come spiega Bencivenga, il male è stupido. O banale, per usare l’espressione di Arendt: chi voglia dar conto di un suo atto malvagio lo farà usando frasi tautologiche, opache, prive di contenuto e digiune d’informazioni, inette a crescere e svilupparsi in un senso qualsiasi. E la “teoria” del male diventa immediatamente parassitaria di una teoria dell’accadere (che spieghi che cosa serve, che cosa piace o di che cosa non si può fare a meno) o di una teoria del bene (che spieghi che cosa è male). Mentre l’agente malefico riceve la medesima statura intellettuale di un rubinetto che perde o di un bambino che fa i dispetti.

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