Il sangue del condannato

In alcune zone remote della Cina più nascosta, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, i vecchi saggi dei piccoli villaggi immersi tra le foreste più misteriose erano convinti che il sangue fresco dei giustiziati avesse potuto guarire i malati. Questo accadeva anche nel villaggio Tuvas, un piccolo borgo oscuro sommerso dagli alberi, vicini al misterioso lago Kanas, nella provincia di Xin-jiang, costituito da cinquanta piccole casette di legno, dove il giovane Hsiao-shuan venne curato col sangue di Yu, recluso nella grande prigione per un reato del quale si macchiarono tutti durante l’ultima terribile carestia: quello di cannibalismo. Fu tradito dal padre, che lo denunciò alle truppe governative per aver mangiato il cuore della madre appena defunta per la fame. Tsu, il padre di Hsiao-shuan, convinto che quella superstizione potesse alleviare le sofferenze del figlio malato, ordinò l’esecuzione del giovane, pagandola con le sue ultime venticinque monete d’argento.

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