Vita in B minore
- Autore
- Michele Lalla
- Pubblicazione
- 01/01/2019
- Categorie
Un bruco (letterario) espone con un linguaggio esplicito e accessibile, pur vincolato spesso dalla metrica, le sue sensazioni e condizioni derivanti da aspirazioni e frustrazioni, il suo pensiero sul di là e sul di qua, sul teismo e sull’ateismo, su eros e su thanatos, sulla solitudine e sulla comunione, esperienze e sentimenti, confronti e contrasti con l’uomo specialmente su alcuni aspetti della politica attuale per le nuove composizioni inserite tra le prime trenta composizione attuali. Quasi tutti i testi collegano i due piani (bruco e uomo, animale e spirituale, corpo e anima) proiettandoli sullo spazio-tempo che materializza le contraddizioni della politica, le differenze tra il dire e il fare, gli autoinganni, le illusioni, le angustie, la fame, la sete, la sbornia, la ribellione, la rapina delle risorse, l’amore. Tutto accade e trasforma l’essere nel futuro, fino al materiale ultimo della sua disfatta e al macero del cosmo con stile libero.Nella postfazione si esplicita che il ciclo della vita si esalta nella farfalla, una vita in alto, ma negli stadi precedenti ha assunto forme varie e non esaltanti (uovo, bruco, crisalide), una vita in basso. Il bruco stimola associazioni repellenti e infime o disgustose e ignominiose, ma il suo punto di vista può essere interessante perché è quello di un sovrastato, di un impotente, di un emarginato. Qui l’intento è esprimere in versi, o cantare con una romantica accezione, tale stato inferiore con le pulsioni che lo sollecitano, con le contestazioni di un divoratore di libri.Il titolo, «Vita in B minore», deriva da tali condizioni. La B è l’emblema della vita vissuta nello stato basso, perché indica la seconda serie o la chiave o la nota «si» della musica nella cantata fatta in minore, che qui ha valore anche condizionale e non solo musicale. Il titolo rappresenta, quindi, il nucleo del tema; ma tale visione non è unica e riflette solo un piano tra i molteplici presenti, come in un caleidoscopio.L’uso di un essere diverso dalla nostra specie è frequente in letteratura perché, presumibilmente, consente una maggiore libertà nell’espressione, in quanto il detto proviene da un altro punto di vista, che è sempre il nostro, ma appartiene a un estraneo nella finzione. Il linguaggio deve essere, dunque, coerente e adeguato e può seguire metafore e percorsi piú insoliti o espressioni piú ardite. Si può stracciare il sipario. Tanto lo fa il bruco. Si può dire che gli uomini sono meno dei bruchi. Tanto lo dice un bruco. Si può esprimere un concetto in modo chiaro e esplicito, altrimenti come possono capire i bruchi? Si possono mescolare parole usuali e note con altre totalmente inventate che suggeriscono significati solo con i suoni o mutuate dal dialetto sconosciuto perché palesano qualche senso e ciò basta al lettore per riempirlo del suo. Allora, a volte, in parti di testo o in una intera composizione lo stile diventa simile a quello di Fosco Maraini utilizzato nel libro «Gnosi delle fànfole».Si citano alcuni versi per dare un’idea: «Non si impegna la cittadinanza/ cosí a pagare tasse e solidale/ poi marcia contro lo Stato sodale/ perché lo si pensa sempre rivale/ salvo lagnarsi per la sua assenza/ nel bisogno e ai piú deboli va male (in Auto-centratura); «Il mio popolo ama la bella vita,/ chiamalo fesso, centrata su tre esse:/ soldi sesso spasso/ …/ Il mio popolo è buono: si accontenta/ della pensione perché, se sta attento/ alle spese, ci arriva a fine mese/ e può mandare tutti a quel paese» (in Godereccio); «Il paradiso è questa vita qui/ lo vedi solo se guardi da lí/ il punto di vista dell’amore/ che cambia prospettiva al dolore» (in Fare senza sperare); «voleva attraversare il suo tempo/ con la fede in Budda e in Cristo,/ ma, ovvio, gli mancava la tempra» (in Tempra di reietti); «il macero di carta lo avversa/ con l’oblio e il nulla d’universo/ dove saranno tutti senza sconti» (in Macero del cosmo).
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