A poco... a poco
- Autore
- Giovanna Pluchino Randone
- Pubblicazione
- 30/04/2019
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Era passata da un minuto la mezzanotte del 7 Gennaio 2003 quando Lei morì: da allora Corrado, Rosa Bruna, Pinuccio e Paolo hanno cessato di essere figli, da allora si è spenta la musicalità della parola che risuonava tra le pareti del "Palazzo": mamma. Giorni belli, colmi di favole e canzoni. Di Lei che non c'è più restano sospesi ricordi incarnati nell'anima, segni che aprono il varco alla memoria e permeano le pagine di questa raccolta, il cui titolo, "A poco... a poco", traccia quel processo di spoliazione che è la sorgente di quel sentimento di carità che ha animato il suo cuore: Così a "poco a poco", molto dolcemente / Ti prendi ciò che vuoi e... resto senza niente! / M'è rimasto solo il "cencio" d'un vestito / che mi serve molto, perché tutto pulito: / ha un nome troppo bello: si chiama "Carità"; / abbraccia Te, i figli e l'intera umanità. Un semplice cencio apre la narrazione, una specie di parentesi, che vuole trasportarci nei luoghi di una vita trascorsa nella dolce quotidianità di avvenimenti, incontri, vissuti all'interno della familiarità del regno di Dio, per approdare ai temi universali della sofferenza umana e del mistero della fede. Ecco allora, in "Frammenti di vita" che prende vita la scuola di Ibla: "A ma scola è nicaredda / 'ncrucifissu, na lavagnedda: / reci banchi, nu 'ntaulinu / e rui barcuna ri scianchinu!". Suggestive le immagini di antiche figure, immagini perdute di un tempo che non c'è più: "armati ri cusuzzi: / pignati, pignatieddi, lannuna rugghiati, / murtara, martieddi / e quartari sfunnati! / E passanu scrusciannu, / sti viecci campanari... / E i fimmini, sintiennu / passari sti criaturi, / pinsaunu rirriennu, / ch'era signu r'auguri". La spensierata musicalità dei versi legati alla realtà vernacolare di questo primo capitolo accende volti, voci, luoghi che affollano una quotidianità carica di memoria: "Nun si sa chi strummintari: / c'è a maistra ro manciari; / pi n'annata nun fa scola: / pisa, cumanna e bara a fasola". E ancora in "Intervista pasquali": "Mamma, tu a Pasqua comu a viri? Ci sì cuntenta, ni provi piaciri? / "O figghia mia, chi n'hai chiffari / ca nun finisci r'addummannari!? / "Rimmillu, mamma, nun ti nichiari / ca l'intervista iu agghiu a fari!" Ricchi di palpiti e di sensazioni i versi che accompagnano il secondo capitolo "Nel dolore il seme dell'eternità", quasi un viaggio dal respiro religioso. Verso dopo verso si delinea e man mano cresce l'amarezza della sofferenza, della solitudine e dell'attesa; eppure, proprio ove sofferta è la meditazione all'ombra della croce, ecco l'approdo catartico del dono di sé: "Una goccia d'acqua stanca che nel calice fu versata / s'è sentita tutta a un tratto inebriata e frastornata. / Al suo Dio le sue cose volle dire in quel momento / molto strane e misteriose, sorridendo nel tormento". La sofferenza tragica e sublime innalza un inno e un canto di fede in "Testimonianza": "Io non speravo niente più, / ma Ti gridavo: «Pensaci Tu!» / Tu m'hai risposto: «Sì: / se hai un po' di fede sarà così!»" Risuonano di strofa in strofa i suoi "sì": "Farò quello che vorrai, / sono pronta e Tu lo sai: / non mi sento sola più / perché accanto ci sei Tu! / l'Amore fa morire, ma fa poi resuscitare: / è "contraddizione" da accettare! / Ma il tralcio senza vite vale niente, / insegnami a "donarmi" Onnipotente!" Dolcemente si dispiega una trama che tesse sentimenti, preghiere e gesti in grado di evocare il mistero di una sofferenza umana penetrata intimamente dalla coralità di esperienze condivise. La parola della croce diventa così porta dischiusa all'altro: non possiamo più sottrarci alla storia della sofferenza, ma piuttosto purificarne le lacrime nel dono del gesto di Amore al Padre: "E guardo la tua croce, fatta per un delinquente / che ora è adorata: c'è morto l'Innocente: / Colui che è, che era e... sempre sarà, / l'Erede che alla fine... ci giudicherà! / La croce è per tutti e fa morire, / ma Dio sa quanto ognuno può soffrire!"
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