Apologia di Socrate
- Autore
- Plato (Platone)
- Pubblicazione
- 06/07/2019
- Categorie
Dall’incipit del libro:
Quello che è avvenuto a voi, Ateniesi, in udire i m iei accusatori, non so; ma io, per cagion loro, poco meno mi dimenticai di me stesso, cosí pa rlarono persuasivamente: benché, se ho a dire, essi non han detto nulla di vero. Ma delle molte lo ro menzogne ne ammirai massimamente una, questa: dissero che a voi bene conveniva guardarvi non foste tratti da me in inganno, perciò che sono terribile dicitore. Imperocché a non vergognar si che tosto li avrei smentiti, mostrando in fatto non essere niente terribile dicitore, questa mi par ve la lor maggiore impudenza: salvo che non chiamino terribile dicitore uno che dice il vero; c hé, se intendono cosí, ben consentirei che sono oratore io: ma non a lor modo. Essi dunque han dett o poco o nulla di vero, come io dico; ma da me voi udirete tutta la verità. Non, per Giove, orazio ni ornate, come le loro, di frasi e parole belle; m a sí udirete cose dette senza niuno studio, con quelle p arole che vengono, ma giuste, io credo; e niun di voi si aspetti altro da me. Perché non istarebbe be ne, che io, o cittadini, venissi innanzi a voi come un giovinetto che modelli sue orazioni; io, a quest a età. Anzi, o Ateniesi, di questo prego voi, e voi supplico, che se udite me con quelle parole difende r me stesso con le quali son solito parlare e in mercato ai banchi, dove mi hanno udito molti di voi , e altrove, non vi maravigliate né facciate rumore. La cosa va cosí: io, la prima volta ora, ve ngo su in tribunale e ho settant’anni; onde alla dicitura di qui sono proprio forestiero. E dacché, se fossi veramente forestiero, voi mi perdonereste se io vi parlassi in quella voce e quel modo ne’ qu ali fossi allevato, prego voi ora (e mi par che a ragione) che non badiate alla maniera di dire (fors e potrebb’ella esser peggio, forse meglio), e guardiate solo e consideriate se dico cose giuste, o no. Imperocché questa è la virtú del giudice; quella dell’oratore poi, è dire il vero.
Quello che è avvenuto a voi, Ateniesi, in udire i m iei accusatori, non so; ma io, per cagion loro, poco meno mi dimenticai di me stesso, cosí pa rlarono persuasivamente: benché, se ho a dire, essi non han detto nulla di vero. Ma delle molte lo ro menzogne ne ammirai massimamente una, questa: dissero che a voi bene conveniva guardarvi non foste tratti da me in inganno, perciò che sono terribile dicitore. Imperocché a non vergognar si che tosto li avrei smentiti, mostrando in fatto non essere niente terribile dicitore, questa mi par ve la lor maggiore impudenza: salvo che non chiamino terribile dicitore uno che dice il vero; c hé, se intendono cosí, ben consentirei che sono oratore io: ma non a lor modo. Essi dunque han dett o poco o nulla di vero, come io dico; ma da me voi udirete tutta la verità. Non, per Giove, orazio ni ornate, come le loro, di frasi e parole belle; m a sí udirete cose dette senza niuno studio, con quelle p arole che vengono, ma giuste, io credo; e niun di voi si aspetti altro da me. Perché non istarebbe be ne, che io, o cittadini, venissi innanzi a voi come un giovinetto che modelli sue orazioni; io, a quest a età. Anzi, o Ateniesi, di questo prego voi, e voi supplico, che se udite me con quelle parole difende r me stesso con le quali son solito parlare e in mercato ai banchi, dove mi hanno udito molti di voi , e altrove, non vi maravigliate né facciate rumore. La cosa va cosí: io, la prima volta ora, ve ngo su in tribunale e ho settant’anni; onde alla dicitura di qui sono proprio forestiero. E dacché, se fossi veramente forestiero, voi mi perdonereste se io vi parlassi in quella voce e quel modo ne’ qu ali fossi allevato, prego voi ora (e mi par che a ragione) che non badiate alla maniera di dire (fors e potrebb’ella esser peggio, forse meglio), e guardiate solo e consideriate se dico cose giuste, o no. Imperocché questa è la virtú del giudice; quella dell’oratore poi, è dire il vero.
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