IL LATITANTE: ANCHE LE MONTAGNE PIANGONO

La vivacità della narrazione e la verosimiglianza della vicenda cruenta catturano l'attenzione dall'inizio alla fine di questo romanzo che l'epopea di un bandito sardo divenuto latitante per non avere commesso il terribile omicidio aggravato da violenza carnale di cui è ingiustamente accusato dalla magistratura di Nuoro: scappare per non dovere scontare una condanna ingiusta è l'unica alternativa. Come un animale braccato dai cacciatori, che in questo caso sono i carabinieri, neanche troppo solerti nello stanare la loro preda. Alfonso Angius spende l'intera esistenza nella latitanza, ai margini del mondo civile, nel quale conserva solo il legame con l'adorata moglie Inelda Mura, mentre si rovina irrimediabilmente il rapporto con il figlio Silio. Come può capitare agli eremiti e agli anacoreti, la separazione dalle vicende del mondo consente al latitante di capirne meglio le trame e di togliere il velo che maschera la verità. Alfonso diviene l'unico testimone dei cruenti delitti compiuti da una banda di criminali sequestratori di persone, che tentano di mascherare e giustificare la scia di sangue di sangue innocente che si lasciano alle spalle come se fossero i danni collaterali non voluti della loro azione di guerra intrapresa con le autorità dello Stato per rendere la Sardegna una nazione autonoma e autogestita dal popolo rivoluzionario. In realtà, dietro il gruppo di assassini, nel quale vendono coinvolti inconsapevolmente Silio e sua moglie, agiscono nell'ombra dei degenerati rappresentanti della classe dirigente isolana, al di sopra di ogni sospetto.

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