Gli spazi del teatro greco e latino
- Autore
- Raffaella Viccei
- Editore
- EDUCatt
- Pubblicazione
- 30/10/2019
- Categorie
L’idea della tavola rotonda, di cui si presentano qui i contributi scientifici, prende spunto dal video I luoghi del teatro antico. La ricerca archeologica attraverso la tecnologia digitale registrato presso gli studi televisivi dell’Università Cattolica dall’archeologo Massimo Limoncelli, nel settembre 2018, per essere proiettato nella sera del 29 settembre 2018 nello che l’Università Cattolica dedicò alle ricerche attorno al Teatro Antico In Scena, in occasione della Notte dei Ricercatori nella città di Milano, “Meetmetonight 2018”, presso i Giardini Montanelli.
Il video propose, in 7,59 minuti, una sintesi dello stato di avanzamento dei lavori nella tecnologia digitale applicata alle ricerche archeologiche nello studio dei teatri. La sua proiezione riuscì ad attrarre interesse e attenzione del pubblico di passaggio, mostrando, attraverso un percorso critico, in cosa concretamente possa consistere la ricostruzione virtuale delle strutture archeologiche di un teatro antico, con esempi tratti dal teatro greco di Tindari o dai teatri romani di Bene Vagienna, Ventimiglia, o Hierapolis in Turchia, aprendo spazi immaginativi su quanto poteva avvenire in tali spazi, ricostruiti in 3D con largo margine di ‘verosimiglianza’. È pubblicato al link https://youtu.be/4ZJkOI35m-w.
L’urgenza di una giornata di studio sorse proprio riflettendo sulla questione della ‘verosimiglianza’ delle ricostruzioni rese possibili dalle nuove tecnologie 3D applicate al restauro archeologico e all’archeologia virtuale, per un confronto critico sulla loro finalità scientifica, didattica e divulgativa. Davanti ai frammenti dei reperti archeologici è indubbia un’istintiva curiosità dell’osservatore anche inesperto verso i supporti che possano aiutare a ‘visualizzare’ gli elementi mancanti.
L’interesse dell’archeologo è naturalmente molto più specifico e mirato, rivolto allo studio tecnico dello spazio interessato dal ritrovamento e di tutti i reperti utili a una ricostruzione verosimile dell’architettura, dei materiali e delle funzioni del monumento perduto, nelle diverse fasi evolutive; fino a non molto tempo fa questa visualizzazione era resa possibile attraverso il disegno tecnico, su supporto cartaceo, capace di raggiungere livelli molto alti di precisione e di effetto estetico, ma connotato dalla bidimensionalità, aspetto che riduce le informazioni ricavabili.
Chi, come me, studia la storia delle esperienze artistiche che si svolgevano nei teatri antichi, quando è davanti ai resti archeologici si pone numerose domande cercando risposte che possano aiutare una più approfondita comprensione della stretta relazione che collega gli spettacoli (la cui esecuzione è sempre necessariamente determinata dalle forme dello spazio teatrale) alla struttura teatrale (che deve sempre essere in grado di rispondere alle necessità delle rappresentazioni complesse per cui è stato ideato).
Per questo fine ho invitato attorno a un tavolo tre archeologi classici collegati ai percorsi formativi e alle ricerche archeologiche dell’Università Cattolica, di cui presento il percorso professionale.
Il video propose, in 7,59 minuti, una sintesi dello stato di avanzamento dei lavori nella tecnologia digitale applicata alle ricerche archeologiche nello studio dei teatri. La sua proiezione riuscì ad attrarre interesse e attenzione del pubblico di passaggio, mostrando, attraverso un percorso critico, in cosa concretamente possa consistere la ricostruzione virtuale delle strutture archeologiche di un teatro antico, con esempi tratti dal teatro greco di Tindari o dai teatri romani di Bene Vagienna, Ventimiglia, o Hierapolis in Turchia, aprendo spazi immaginativi su quanto poteva avvenire in tali spazi, ricostruiti in 3D con largo margine di ‘verosimiglianza’. È pubblicato al link https://youtu.be/4ZJkOI35m-w.
L’urgenza di una giornata di studio sorse proprio riflettendo sulla questione della ‘verosimiglianza’ delle ricostruzioni rese possibili dalle nuove tecnologie 3D applicate al restauro archeologico e all’archeologia virtuale, per un confronto critico sulla loro finalità scientifica, didattica e divulgativa. Davanti ai frammenti dei reperti archeologici è indubbia un’istintiva curiosità dell’osservatore anche inesperto verso i supporti che possano aiutare a ‘visualizzare’ gli elementi mancanti.
L’interesse dell’archeologo è naturalmente molto più specifico e mirato, rivolto allo studio tecnico dello spazio interessato dal ritrovamento e di tutti i reperti utili a una ricostruzione verosimile dell’architettura, dei materiali e delle funzioni del monumento perduto, nelle diverse fasi evolutive; fino a non molto tempo fa questa visualizzazione era resa possibile attraverso il disegno tecnico, su supporto cartaceo, capace di raggiungere livelli molto alti di precisione e di effetto estetico, ma connotato dalla bidimensionalità, aspetto che riduce le informazioni ricavabili.
Chi, come me, studia la storia delle esperienze artistiche che si svolgevano nei teatri antichi, quando è davanti ai resti archeologici si pone numerose domande cercando risposte che possano aiutare una più approfondita comprensione della stretta relazione che collega gli spettacoli (la cui esecuzione è sempre necessariamente determinata dalle forme dello spazio teatrale) alla struttura teatrale (che deve sempre essere in grado di rispondere alle necessità delle rappresentazioni complesse per cui è stato ideato).
Per questo fine ho invitato attorno a un tavolo tre archeologi classici collegati ai percorsi formativi e alle ricerche archeologiche dell’Università Cattolica, di cui presento il percorso professionale.
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