Racconti in breve

La circostanza in cui ho cominciato a scrivere le novelle, a cui sono poi seguite le favole è davvero singolare.
Mi trovavo, d’estate, nella casa di Anzio, e nel bel giardino sovrastante la spiaggia accompagnavo mia moglie che non poteva più scendere a passeggiare lungo la spiaggia come preferiva, a causa delle condizioni di salute che le permettevano soltanto di sostare in una parte ombrosa del giardino.
Io stando su una panchina a “prendere il sole”, per passare il tempo, cominciai a scrivere. Il primo racconto prese spunto da un canto popolare, dal quale trassi una storia commovente.
Le novelle furono una trentina, corrispondenti alla durata della mia vacanza agostana annuale spesso prendevano spunto da fatti reali locali.
Le favole ebbero un’origine diversa e fui spinto a scriverle dalla felicità che provavo quando passeggiavo con i miei due bellissimi e molto sensibili nipotini, sia ad Anzio che a Velletri, ed insieme osservavamo che succedeva d’intorno, con grande predilezione per gli animali, cani e gatti in particolare. Nel loro giardino di casa erano tanti i gatti che circolavano e più di una volta nacquero i gattini, in particolari angoli.
Un storia è nata proprio da tale bella circostanza e non era facile mettere d’accordo i due fanciulli, nell’assegnare i nomi, ricorrendo a “compromessi” che non dessero l’idea della prevalenza della più grande sul fratellino più piccolo.


Un nuovo Venditti rivelato dai Racconti
di Pier Luigi Starace

L’Opera Racconti in breve è comprensiva di due precedenti pubblicazioni edite dall’Associazione culturale veliterna Dea Art: Novelle del quotidiano e Favole per ogni età.
Credevo che la copiosa creatività letteraria di Antonio Venditti ci avesse permesso di conoscerlo in ogni dettaglio, sia compositivo che psicologico, ma quest’ultima opera, sotto entrambi gli aspetti, mi autorizza a parlare di “nuovo”.
Sul primo aspetto ho un’intuizione, sulla cui validità solo l’autore potrebbe pronunciarsi, ma che oso esprimere. Mi è sembrato che l’autore abbia predisposto uno schedario, con dentro ordinati, in singole “fiches”, una per racconto, i “curricula vitae” – intesi come registrazioni dei momenti qualificanti sia esteriori che interiori d’un’esistenza – del protagonista o protagonisti. E m’è sembrato che da ciascun curriculum egli abbia ritagliato, estratto e giustapposto solo gli elementi essenziali. La sicurezza di questo taglio, di questa scelta e di questo accostamento mi è sembrata una sobria rinunzia alla tentazione dell’abbandono al profluvio di particolari, a favore della scelta dell’elemento narrativo più pregnante.
In altre parole un’apparente mancanza di collegamento tra un “pezzo” e l’altro non impoverisce minimamente il flusso narrativo, come il vuoto dell’arcata tra due pilastri d’un ponte continua a sostenere la strada che lo cavalca.


NOVELLE
Posso dire che anche Antonio Venditti, come Maupassant, Verga, Pirandello, Cekov – cioè dei romanzieri che hanno scritto anche novelle – abbia ceduto al sano invito verso questa forma espressiva. Come un maratoneta che, all’occasione, partecipa ad una corsa metà due o tre o più volte più breve dei classici 42 km., e, in questa esibizione, spesso raggiunge un ritmo, una scioltezza, una falcata più attraenti che sulla lunga distanza.
L’indice della raccolta ha un valore, appunto, indicativo, perché molte novelle si collocano come costellazioni a sé stanti, armonizzate da un tema comune a ciascuna.
La prima di queste costellazioni tratta il tema: “Di cosa si può anche morire oggi.”
La vediamo in “Talpe in azione”, “Disuguaglianza” e “Stelle cadenti” in cui è esplorata la micidialità dell’inestricabile intrico tra crimine ed istituzioni amministrative e giudiziarie, quando queste ultime, usando quella che chiamano “legalità” come un’arma contro i più deboli, perdono il proprio fondamento etico.
La vediamo in “Quiescenza”, quando la rivelazione decisiva della realtà che l’unico vincolo che lo unisce ai familiari è il suo assegno pensionistico, spegne l’energia vitale d’un anziano.
Lo vediamo in “Bolle di sapone” e “Il mercatino rionale” in cui, in forza dell’applicazione d’un regolamento comunale, un uomo ed una donna sono privati, nel divieto sancito dal consiglio di quell’ente locale, di proseguire nel proprio non solo innocente, ma utile lavoro, d’ogni mezzo di sussistenza.
Altra costellazione è quella che possiamo definire delle “donne rimaste sole”, come “L’attesa”, “Delusione”, “Tragitto”, “Protezione”, “Vita nuova”, “Sulla Barcaccia”, ”Palla al piede”. In quest’ultima novella, l’unica nella quale la solitudine assume un valore liberatorio e quindi positivo, una moglie, dopo una vita di schiavitù sotto un marito ozioso ed egoista, ricomincia a vivere, sia pur ottantenne, dopo la morte di lui. E’ proprio in questa novella che vedo delinearsi, non formalmente, ma intimamente, un nuovo Venditti.
Una costellazione numerosa è quella che prende spunto da aspetti più “leggeri” della nostra quotidianità: “Il telefonino”, “Il parolaio”, “Automazione”, “Pila elettrica”, “Il prof. 3 P”. In quest’ultima novella trovo la massima concentrazione di qualcosa che è sparso anche in altre: una visione che ha l’amara constatazione dell’assurdo di Pirandello.
“Il conte Smorfia” e “ La scuola del nonno” avrebbero potuto essere dei romanzi, che una gagliarda potatura ha condotto a novelle.
A parte metterei “Carriera”, un saggio d’ingegneria socio-burocratica di ricostruzione dei percorsi del danaro pubblico fino al rubinetto che in un giorno eroga ad uno lo stesso gettito che un altro riceve in un anno. Come pure “Apparenza” , che scava nelle profondità della crisi del matrimonio odierna con una gelida lucidità ibseniana.
Rientrato misteriosamente, ed indirettamente, a sprazzi, nell’atmosfera scandinava del suo amato Kierkegaard, Antonio Venditti mostra uno sguardo di lucida impietosità ibseniana nel disvelamento
delle miserie e vergogne che, specie nella famiglia odierna, cercano di nascondersi sotto le convenzioni.

FAVOLE
Inaspettate soprattutto per i pochi mesi intercorsi dalla fine della composizione dei “Racconti della vita comune” giungono queste “Favole per ogni età” di Antonio Venditti.
Animali antropizzati come in Esopo e Fedro, ovviamente: ma non solo, anche umani, e strani esseri come quell’incrocio tra uomo e scimmia, Cino, in “Verso le vette della felicità” o come quell’essere apparentemente umano ma inquietantemente mostrante aspetti di robot o extraterrestre, Piripicchio.
Favole profondamente inserite nella contemporaneità, come il conforto morale ai bimbi malati (“Luce Regina Papillon” ), la discriminazione razziale (“Ardo”), la ricerca del genitore mai conosciuto ( “Bardotto”), l’accoglienza ( “Celeste”, “Aquilotta”, “Angelillo”), i bambini –soldato (Pupazzi e Pupazzaro”).

Credevo che la copiosa creatività letteraria di Antonio Venditti ci avesse permesso di conoscerlo in ogni dettaglio, sia compositivo che psicologico, ma quest’ultima opera, sotto entrambi gli aspetti, mi autorizza a parlare di “nuovo”.
Sul primo aspetto ho un’intuizione, sulla cui validità solo l’autore potrebbe pronunciarsi, ma che oso esprimere. Mi è sembrato che l’autore abbia predisposto uno schedario, con dentro ordinati, in singole “fiches”, una per racconto, i “curricula vitae” – intesi come registrazioni dei momenti qualificanti sia esteriori che interiori d’un’esistenza – del protagonista o protagonisti. E m’è sembrato che da ciascun curriculum egli abbia ritagliato, estratto e giustapposto solo gli elementi essenziali. La sicurezza di questo taglio, di questa scelta e di questo accostamento mi è sembrata una sobria rinunzia alla tentazione dell’abbandono al profluvio di particolari, a favore della scelta dell’elemento narrativo più pregnante.
In altre parole un’apparente mancanza di collegamento tra un “pezzo” e l’altro non impoverisce minimamente il flusso narrativo, come il vuoto dell’arcata tra due pilastri d’un ponte continua a sostenere la strada che lo cavalca.

NOVELLE
Posso dire che anche Antonio Venditti, come Maupassant, Verga, Pirandello, Cekov – cioè dei romanzieri che hanno scritto anche novelle – abbia ceduto al sano invito verso questa forma espressiva. Come un maratoneta che, all’occasione, partecipa ad una corsa metà due o tre o più volte più breve dei classici 42 km., e, in questa esibizione, spesso raggiunge un ritmo, una scioltezza, una falcata più attraenti che sulla lunga distanza.
L’indice della raccolta ha un valore, appunto, indicativo, perché molte novelle si collocano come costellazioni a sé stanti, armonizzate da un tema comune a ciascuna.
La prima di queste costellazioni tratta il tema: “Di cosa si può anche morire oggi.”
La vediamo in “Talpe in azione”, “Disuguaglianza” e “Stelle cadenti” in cui è esplorata la micidialità dell’inestricabile intrico tra crimine ed istituzioni amministrative e giudiziarie, quando queste ultime, usando quella che chiamano “legalità” come un’arma contro i più deboli, perdono il proprio fondamento etico.
La vediamo in “Quiescenza”, quando la rivelazione decisiva della realtà che l’unico vincolo che lo unisce ai familiari è il suo assegno pensionistico, spegne l’energia vitale d’un anziano.
Lo vediamo in “Bolle di sapone” e “Il mercatino rionale” in cui, in forza dell’applicazione d’un regolamento comunale, un uomo ed una donna sono privati, nel divieto sancito dal consiglio di quell’ente locale, di proseguire nel proprio non solo innocente, ma utile lavoro, d’ogni mezzo di sussistenza.
Altra costellazione è quella che possiamo definire delle “donne rimaste sole”, come “L’attesa”, “Delusione”, “Tragitto”, “Protezione”, “Vita nuova”, “Sulla Barcaccia”, ”Palla al piede”. In quest’ultima novella, l’unica nella quale la solitudine assume un valore liberatorio e quindi positivo, una moglie, dopo una vita di schiavitù sotto un marito ozioso ed egoista, ricomincia a vivere, sia pur ottantenne, dopo la morte di lui. E’ proprio in questa novella che vedo delinearsi, non formalmente, ma intimamente, un nuovo Venditti.
Una costellazione numerosa è quella che prende spunto da aspetti più “leggeri” della nostra quotidianità: “Il telefonino”, “Il parolaio”, “Automazione”, “Pila elettrica”, “Il prof. 3 P”. In quest’ultima novella trovo la massima concentrazione di qualcosa che è sparso anche in altre: una visione che ha l’amara constatazione dell’assurdo di Pirandello.
“Il conte Smorfia” e “ La scuola del nonno” avrebbero potuto essere dei romanzi, che una gagliarda potatura ha condotto a novelle.
A parte metterei “Carriera”, un saggio d’ingegneria socio-burocratica di ricostruzione dei percorsi del danaro pubblico fino al rubinetto che in un giorno eroga ad uno lo stesso gettito che un altro riceve in un anno. Come pure “Apparenza” , che scava nelle profondità della crisi del matrimonio odierna con una gelida lucidità ibseniana.
Rientrato misteriosamente, ed indirettamente, a sprazzi, nell’atmosfera scandinava del suo amato Kierkegaard, Antonio Venditti mostra uno sguardo di lucida impietosità ibseniana nel disvelamento
delle miserie e vergogne che, specie nella famiglia odierna, cercano di nascondersi sotto le convenzioni.

FAVOLE
Inaspettate soprattutto per i pochi mesi intercorsi dalla fine della composizione dei “Racconti della vita comune” giungono queste “Favole per ogni età” di Antonio Venditti.
Animali antropizzati come in Esopo e Fedro, ovviamente: ma non solo, anche umani, e strani esseri come quell’incrocio tra uomo e scimmia, Cino, in “Verso le vette della felicità” o come quell’essere apparentemente umano ma inquietantemente mostrante aspetti di robot o extraterrestre, Piripicchio.
Favole profondamente inserite nella contemporaneità, come il conforto morale ai bimbi malati (“Luce Regina Papillon” ), la discriminazione razziale (“Ardo”), la ricerca del genitore mai conosciuto ( “Bardotto”), l’accoglienza ( “Celeste”, “Aquilotta”, “Angelillo”), i bambini –soldato (Pupazzi e Pupazzaro”).

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