Erba lungo la via (Michikusa) (Opere di Soseki Vol. 2)
- Autore
- Natsume Soseki
- Pubblicazione
- 01/01/2014
- Categorie
Dal libro:
Invece, le doglie sopraggiunsero a sorpresa, molto prima di quanto previsto. Una notte, Kenz? fu svegliato di soprassalto. Con sguardo reso ancora opaco dal sonno profondo, si volse verso la moglie, che gli dormiva accanto. Sembrava che soffrisse dolori intollerabili. Ella riuscì, nondimeno, con strenuo sforzo, a sussurrare: “Ha cominciato a dolermi poco fa.”
“Ti fa solo male o sta per nascere il bambino?”, domandò il marito, continuando a sogguardare furtivamente la moglie dolorante. La notte era gelida e Kenz? aveva sporto solo il capo fuori dal confortevole tepore delle coperte. “Vuoi che provi a massaggiarti?” Non aveva alcun desiderio di abbandonare l’abbraccio delle coltri e sperava che quella mera manifestazione verbale di affettuoso interessamento potesse essere sufficiente a confortarla.
Si domandava dubbioso quanto intenso potesse essere il dolore che attanagliava la moglie. Aveva in passato assistito al travaglio che aveva preceduto la nascita della prima figlia, ma tutto ciò che aveva appreso allora era stato completamente dilavato dalla sua memoria, era svanito in qualche recesso della mente. Riusciva solo a ricordare che consimili crisi dolorose si erano ripetute numerose volte prima del parto, fluendo e rifluendo come cicli di marea. “Non c’è ragione di preoccuparsi”, disse con incerte labbra, “i bambini non nascono così all’improvviso. Il dolore va e viene.”
“Può darsi, ma diventa sempre più insopportabile.” I gesti contratti e dolenti della donna comprovavano fuor d’ogni dubbio l’intensità delle sofferenze patite. Continuava, ogni volta che era scossa da una fitta dolorosa, a roteare il capo con sussulti meccanici e violenti, fino a spingere via il cuscino.
Kenz? si sentiva impotente. “Vuoi che chiami la levatrice?”, mormorò.
“Sì, ti prego. Affrettati!”
La levatrice, in ragione del suo lavoro, aveva il telefono in casa. Tale moderno lusso però non poteva che mancare in un’abitazione come quella di Kenz?. Nei casi in cui si presentava la necessità di usare il telefono, si dovevano recare a casa di un medico, che abitava nelle vicinanze. La notte nereggiava densa e impenetrabile di fuori. Mancavano ancora alcune ore prima che il pallore del mattino riuscisse a insinuarsi tra le tenebre, a rischiarare le notturne ombre. Kenz? esitava a svegliare la donna di servizio, per costringerla a uscire nel cuore della notte. La immaginava, sferzata dai gelidi venti di quel precoce inverno, giungere a casa del medico e con mano intirizzita bussare decisa alla porta, disturbando il pacifico sonno dell’uomo, per telefonare alla levatrice. Tuttavia, non era possibile attendere fino al sopraggiungere del mattino. Si decise ad alzarsi. E, spalancato il fusuma, in un moto d’ansia, si precipitò attraverso il salotto fino alla stanza, dove la ragazza dormiva, in fondo alla casa. Dopo averla svegliata con violenta sollecitudine, le ordinò di andare dal medico, quasi sospingendola nelle diacce tenebre che assediavano la casa.
Quando tornò al capezzale della moglie, i dolori della donna erano assai accresciuti. Sedette al suo fianco, attendendo in rigida inquietudine che giungesse dalla strada il rotolio di un risciò. Il silenzio della notte pareva, però, impenetrabile, lacerato unicamente dai gemiti lamentosi della partoriente. La levatrice non arrivava. Erano trascorsi non più di cinque minuti, in quella tormentosa attesa, che la moglie si volse d’improvviso verso Kenz? e in un rantolo di sofferenza esclamò: “Sta per nascere!” Proruppe, poi, in un grido straziante e prolungato, come se avesse a lungo trattenuto in sé quell’urlo, covato dal dolore che infieriva dentro il suo corpo. Così il bambino na
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