L'avventurosa storia dell'uzbeko muto

La giovinezza, si sa, è l’età degli ideali, delle grandi battaglie, ma anche del velleitarismo, delle bevute con gli amici, dell’inquietudine sentimentale. E i giovani sudamericani degli anni Settanta non facevano certo eccezione. In questo «romanzo in storie» Luis Sepúlveda racconta il passato e i sogni della sua generazione, e lo fa attraverso la lente dell’affetto e dello humour, che stempera le tensioni e ci riporta intatti le passioni e i momenti di entusiasmo della sua giovinezza militante. Così scopriamo che una rapina in banca poteva essere un esproprio proletario, o addirittura fornire a un cantante mancato un’imperdibile occasione per esibirsi alla chitarra. Poi vediamo all’opera una squadra dell’Esercito di liberazione nazionale impegnata a rubare delle armi, incappando in una serie di intoppi tragicomici, ma attirando anche collaborazioni inattese. E incontriamo in queste pagine, tra gli altri, il bizzarro personaggio del titolo, che non è… né uzbeko né muto. Si tratta infatti del peruviano Ramiro, vincitore di una borsa di studio all’Università Lomonosov, destinato a ricevere un’educazione sovietica nella Patria del Socialismo. Peccato che a Mosca Ramiro non trovi nulla di quello che gli interessa davvero, cioè le ragazze, la musica e l’alcol. Peggio gli va quando tenta di raggiungere Praga, dove si dice che tutte queste cose abbondino, ma approda invece in Uzbekistan…
Tra sorriso e nostalgia, queste pagine ci fanno rivivere «il bel sogno di essere giovani senza chiedere il permesso».

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